Potenti pad synth, percussioni essenziali, dolcissimi cori e una voce multi-uso che fa emozionare ad ogni cambio cambio di nota. Se il ritornello di Royals non vi esce più dalla testa, provate a sentire anche tutto il resto: farete fatica a farne a meno.
Justin Vernon abbandona il moniker Bon Iver ma riprende dallo stesso punto in cui ci aveva lasciati, questa volta assieme ai Collections of Colonies of Bees, riuniti insieme sotto il nome Volcano Choir. Tra chitarre, tastiere, la voce di Jus e i climax, in questo Repave le emozioni non mancano di certo.
Tri Angle è un marchio di fabbrica, si sa, e questo Excavation non si discosta dai trend dell’etichetta. The Haxan Cloak sforna un lp denso di oscurità, ombre e tetro sperimentalismo. Bpm bassissimi, frequenze ancor di più, dark-ambient e rari, rarissimi beat. Un disco impegnativo, ma imperdibile.
Tornano i Boards Of Canada e, forti di una campagna pubblicitaria che ha reso Tomorrow’s Harvest uno dei dischi più hyppati dell’anno, riportano in vita il loro mondo post-apocalittico che, tra ambient ed elettronica, invita l’ascoltatore a smarrirsi al suo interno. E farlo è sublime.
Questo self titled è la prova del nove, la conferma che Killer Mike ed El-P siano indiscutibilmente due figure di spicco nell’hiphop contemporaneo. Il sound ormai è collaudato: basi abrasive e bassi violenti, contaminazioni tra le più disparate, su cui le rime di Mike ed El-P non esitano un istante
Nuovo volto per i 4 ragazzi di Sheffield, che dopo 2 anni tornano sulla scena con un suond che li sposta defitivamente oltreoceano tra ritmi R&B e chitarre spesso nude e crude. L’unica vera indie-band riuscita ad uscire dal guscio per continuare la propria crescita ed evoluzione musicale.
Alla prova dell’album d’esordio i Brothers In Law si confermano come una delle migliori promesse del panorama italiano. Il loro solare ma malinconico dream pop in declinazione shoegazey ha un occhio di riguardo per gli ’80s wave inglesi, ma dimostra maturità e personalità da vendere.
Il disco che attesta che gli Is Tropical non sono un semplice fenomeno: una grande conferma per una buona promessa, il lavoro di una formazione giunta a maturazione, con il coraggio di stravolgere la proposta che l’ha resa celebre e le carte in regola per farlo da dio.
Una band capace di presentarsi già cresciuto all’appuntamento col primo album, capace di stagliarsi con eleganza sopra all’inevitabile chiacchericcio che li circonda. Troviamo la scarnezza e la complessità, la cupezza e i momenti in cui ci si ritrova invischiati in una sorta di gioia meccanica.
Un mix di chitarre disperse nei riverberi e di bassi aggressivi. Post-punk dritto e pulito grazie anche all’attenzione alla cura del proprio sound. Uno dei dischi italiani da ascoltare assolutamente quest’anno, da una delle migliori band del nostro Paese.
Manchester pulsa di sentimenti e i Money sono lì a patire con un esperienza spirituale unica che ci porta dritto verso un inferno etereo. The Shadow of Heaven è una visione proustiana di un ritratto wildiano che piace per i suoi continui sbalzi d’umore.
A un anno dal debut LP agli Holograms sono cresciuti tutti i peli sulle palle e tornano con questo sophomore 100% post punk, omogeneo e tiratissimo, che, pur rispettando tutti i canoni del genere, suona assolutamente personale. Una devastante esplosione di energia dall’inizio alla fine.
Prendete un tizio magrolino bianco, fategli fare dell’R&B totalmente in falsetto. Appoggiate il tutto sui suoni del futuro di Oneohtrix Point Never ed eccovi Anxiety: il secondo album di un fantastico Autre Ne Veut che riesce a sorprendere e ad emozionare per l’intera durata del disco.
Gingers Don’t Have Soul. Il Cazzo. King Krule l’anima ce l’ha eccome e la mette tutta in questa piccola perla di un giovanissimo artista da seguire con un occhio di riguardo. Rhythm’n’Blues su basi hip-hop e una voce da far invidia a Tom Waits. Che facevate voi a 16-17 anni quando lui sfornava EP? Lui ora collabora anche con i Mount Kimbie. Prendete esempio.
I Phosphorescent coniugano in Muchacho la tradizione folk americana ad elementi per così dire innovativi (synth, lap-steel, drum machine). Il risultato è un album piacevole, un ascolto che scorre semplice e che allo stesso emoziona e convince su tutti fronti, dalle ballate alle tracce più vivaci.
James Blake ci riprova e non sbaglia il secondo colpo.I suoi vocalizzi e l’inconfondibile timbro del suo piano accompagnano un album che lo vede anche sperimentare nuove sonorità black nelle collaborazioni con RZA.E per i pochi che ancora non credono nel suo talento, i live sono lì,pronti a smentire.
In Pale Green Ghosts John Grant riesce ad amalgamare quel cantautorato che lo rese celebre nel 2010 agli ascolti giovanili composti da elettronica ed electro-pop. John ci fa partecipi dei suoi problemi mettendoli in musica, quasi fosse questa la sua unica via di scampo. Un’opera sincera e toccante.
Condensando al suo interno alcuni dei maggiori esponenti della nuovissima e violentissima scena wave nord-europea, i Vår sono una miscela esplosiva di cold-synth-wave, industrial gotica e nebbiosi paesaggi ambient, il tutto avvolto da una batuffolosa coltre di neo-nazismo. Dei ganzi da paura.
Il riscaldamento globale ha sciolto i cuori di tutti i revivalismi, e lo svedese di adozione ha ornato la coldwave di synthoni 80’s direttamente dalla sua Casio. Un gioiello Sacred Bones da duri che illumina gli scantinati più nascosti.
Dalla cattedra al palco l’intimità delle storie di Woolhouse è ciò che ci piace ricordare in mezzo alla nube di artisti lo-fi post xx. Uno su mille ce l’ha fatta e Feel Real è un pezzo bello.
Vi ricordate Perfume Genius? Vi aveva fatto male al cuore? Ecco, quest’album non è per i cuori di cristallo, o meglio, la raffinatezza di Devon Welsh è cristallo purissimo e proprio questo potrebbe distruggere anche con la sola Bugs Don’t Buzz. Maneggiare con cautela, come il cristallo.
Un disco toccante, un caldo ritorno alle origini caratterizzato da musiche malinconiche e testi struggenti. Senza vergogna, Bowie ci mostra ogni sua paura più nascosta, ci spalanca le porte del suo cuore per renderci partecipi del suo ultimo esame di coscienza, complici della sua resa dei conti.
Pussy, Money, Weed it’s all a nigga need. Fino a qua tutto regolare. Lo si potrebbe bollare come il solito album rap da cazzoni pieni d’oro. Invece gli strumentali che sorreggono i raccontoni di serate piene di figa, erba, cash flow sono il vero punto d’interesse di Long Live Asap. Da non tralasciare collaborazioni di primo piano di gente come Drake, Kendrick Lamar etc. Robetta da niente insieme.
Un disco “pomeridiano” veramente solido. Le qualità di Simon Green erano indubbie, The North Borders le riconferma ancora e lo piazza nell’olimpo del downtempo. Un Four Tet contaminato dalla dimensione dub con una classe e un’eleganza uniche.
Un’altra perla tirata fuori dal cilindro magico di Ariel Rechtshaid, il miglior produttore del 2013. Tantissimi suoni anni ’80 si mescolano con la cattiveria agonistica di Courtney Love e le Hole creando il miglior album pop dell’anno.
L’elettronica aggressiva dei Modeselektor e quella sognante di Apparat si compenetrano fino a diventare una sola entità. Bad Kingdom è il pezzo che Thom Yorke sta cercando di scrivere da anni, i dieci minuti di groove sonico di Milk sono tra nel podio dei migliori momenti elettronici dell’anno.
Uno degli album più sudati del 2013, riesce comunque a soprenderci nononosta lo stile greatest-hits della tracklist. Electro/synth-pop all’ennesima potenza: onde di suoni spezzate da drum-machine e dall’acuta, ma dolcissima, voce di Lauren Mayberry rendono l’anno tutto più bello e gaio.
E’il più talentuoso rapper in circolazione. Punto, finisco qui le discussioni. Non avrà i soldi e la visibilità di babbo Kanye, ma Earl ha prodotto un album veramente interessante. Non mancano le atmosfere oppressive e paranoiche, marchio di fabbrica di casa Odd Future ma il flow del rampollo della crew e la sua abilità nel giocare con le parole eleva Doris a uno dei migliori album rap dell’anno.
La migliore produzione puramente electro francese dai tempi di † dei Justice. Techno, ambient e un pizzico di tamarrìa vengono baciate da un favoloso french touch che rende il disco divertente e interessante, senza cadere nel banale. Ottimo debut-album.
Prima che gli andasse a fuoco la casa per fortuna Dev Hynes ha rilasciato quest’album. Pieno di sonorità funky&soul rispolverate con maestria dagli anni ’80/’90. Un album ad alto tasso homo che tra pezzi più emozionali e slappate di basso, ti fa ciondolare con una piccola lacrimuccia alla Pierrot.
Dopo quella pietra imprescindibile della nuova elettronica inglese che fu Crooks & Lovers, Kai e Dom tornano con un suono nuovo. Forti le influenze dub e uno modo di vedere la musica come costruzione precisa ma allo stesso tempo libera di suoni. E poi c’è Made To Stray, il club anthem 2k13.
Un doppio album, Old, segna il ritorno di Danny Brown. E se il side-a mette in luce un Danny più maturo, sia nelle basi che nei testi, il side-b ripropone quelle atmosfere da rave-party che lo hanno reso celebre. Quale sia il vero Danny non ci è dato saperlo, perché forse non lo sa nemmeno lui.
Ancora un album della madonna di casa Dreijer. 96 minuti in cui regna una sperimentazione elettronica ancora più estremizzata rispetto al passato, tra suoni esoterici e percussioni tribali, in un angoscioso e opprimente crescendo che pare soffocare le melodie e portando l’ascoltatore alla paranoia.
I TNPS mettono da parte l’aggressività degli esordi, quasi si dimenticano di cosa sia il rock e con l’aiuto di due vasti ensemble si trasformano in una intrigante presenza a metà tra il post-rock più vicino all’ambient e la musica neoclassica.
Dare un cuore alla techno tedesca è una delle varie scommesse di Amygdala, a cui vanno i meriti di aver reso un plein air un genere che vede la luce solo alla Love Parade, con le sue 13 storie intrecciate in un’unica trama indistinguibile. L’after più romantico a cui dovrete ancora partecipare.
Con Settle i fratelli Lawrence sono diventati i padroni dei club di tutto il mondo. Seguiti da tempo dagli appassionati tramite le loro uscite sparse in EP, ora i loro bassi gommosi fanno ballare tutti dal tipo un po’ zarro al tipo indie che si diverte a sfasciarsi nei club. I vari featuring hanno aiutato nella riuscita dell’ascesa/ritorno alle masse della UK Garage.
Secondo forse solo a Trouble Will Find Me per carica emotiva. Quando il più classico folk incontra le sonorità post-rock tipiche delle fredde terre islandesi si viene a creare una magia capace di trasportare ed emozionare l’ascoltatore. Tutto ciò è possibile dando la giusta attenzione ai testi, uno dei punti di forza del trio londinese.
L’ennesima e definitiva dimostrazione che i Daft Punk valgono tutti gli elmetti, tutto l’hype e tutte le collaborazioni del mondo, anche 16 anni dopo il primo album. 75 minuti in cui funk, EDM, pop e dance si incontrano dando vita a un disco geniale che riesce a suonare nuovo e unico.
Una coltre di riverbero avvolge indistintamente le melodie e le voci, mentre ritmiche tribali scandiscono il tempo della narrazione. In una notte ipnotica, Forest Swords ci accompagna nella giungla più tetra e selvaggia di un’eletttronica che esula da ogni trend.
Nicolas Jaar e Dave Harrington aka Darkside fanno uscire il loro vero debutto, Psychic. Una commistione di elettronica e chitarre blues che non lascia scampo, nebbie rarefatte sferzate da riff che entrano in testa e percussioni che invitano a ballare. Un piccolo mondo all’interno di una bolla.
Ispirato dalla malattia con la quale l’artista ha convissuto per mesi, Obsidian è un’ottima seconda prova per Baths: ritmi sincopati e deliziose armonizzazioni vocali vanno a comporre un’atmosfera tanto cupa quanto deliziosa: sicuramente un disco efficace come pochi, vivo e fortissimo.
L’ultimo LP dei VW ha i pezzi giusti per rimanere nei nostri cuori di cervo. Il disco della domenica mattina, in macchina verso casa, felici e malinconici per il bel weekend ormai concluso. Da Step passando per Hannah Hunt e chiudendo con Youg Lion ci riporta nel mood giusto per ritornare alla normalità.
Silence Yourself non è solo un titolo, è un monito che le quattro Savages di Londra urlano al mondo. Un debutto post-punk vero e sentito che ha scosso il 2013 per intensità, urgenza e violenza. Guai a paragonarle ai giganti del passato, le Savages hanno personalità da vendere e l’hanno dimostrato.
I My Bloody Valentine tornano 21 anni dopo, partendo dalla loro unica formula di shoegaze divino, riprendendo il discorso dello spostamento verso territori dance e finendo per addentrarsi nel noise più folle. Tra dolcezza pop e disarmonie sperimentali, terzo album e terzo capolavoro per i MBV.
In costante evoluzione ma non dimenticando il passato, i Fuck Buttons riescono a stupire per l’ennesima volta con un disco che, tra luci e ombre, rade definitivamente al suolo ogni barriera tra noise ed elettronica. Un’esperienza cosmica e malata da ascoltare rigorosamente a volumi folli. Epici.
Kanye West è tornato e l’ha fatto buttando giù la porta. Prodotto (tra gli altri) da Rick Rubin e Daft Punk, Yeezus è un album che non può lasciare indifferenti. Kanye rappa con violenza, come mai prima d’ora, e oggetto delle sue rime sono temi razziali, potere, sessualità. Il flow inimitabile di West (coadiuvato da feat. importanti) si dipana su beat violenti e minimali, influenzati da vari generi, mettendo in chiaro per l’ennesima volta che è lui a comandare l’hiphop dell’ultimo decennio.
R Plus Seven è la rivoluzione digitale dei nostri tempi. Un orologio svizzero dalle sembianze di un casio di quattro lire. Un tamagotchi che cresce senza mai morire. Lopatin dimostra di poter essere ancora eretici evitando la lapidazione, l’importante è parlare una lingua che nessuno ancora conosce. Dedicato a che dice che la telepatia non è una forma di comunicazione, e a chi crede alla macchina dello spirito e del tempo.
I National sono un esempio lampante di come la cosa più importante in assoluto nella musica siano le emozioni. E nessuno nel panorama rock attuale è in grado di commuovere come fanno i National. Pur forti di questa certezza si mettono ancora in gioco, dando vita al loro episodio discografico musicalmente più complesso e meno accessibile, riuscendo comunque ad arrivare al cuore: ora come non mai i National sembrano infallibili. E ogni canzone è una pugnalata che squarcia l’anima sempre di più.
Un doppio album per celebrare uno dei ritorni più attesi di questo 2013, quello degli Arcade Fire. Un disco complesso, che vive all’interno di sfumature variopinte, come uno specchio. James Murphy alla produzione ne influenza i suoni, ma i canadesi dal canto loro riescono a essere sempre fedeli al loro modo di fare musica, senza mai snaturarsi. Una versatilità del genere è cosa rara, e non fa altro che rimarcare il talento di questo gruppo immenso. Reflektor, poi, è un capolavoro.
Immunity trascende i generi per arrivare al cuore di chiunque. In esso troviamo la techno più oscura e l’ambient più luminosa, perle nate per infiammare il dancefloor e distese composizioni pianistiche. Ogni secondo di Immunity parla all’anima dell’ascoltatore, la rilassa e la sconvolge, la rassicura e la devasta. Una tavolozza di chiaroscuri dalle infinite sfumature, che muta a seconda dello stato d’animo dell’ascoltatore: a ogni ascolto corrisponde una nuova rivelazione. Immunity è un posto sicuro in cui rifugiarsi ed è lo sfogo degli istinti più selvaggi. Immunity gasa all’inverosimile e fa commuovere. Immunity è il masterpiece del 2013.