“Nostalgia, nostalgia canaglia” : così cantava, tanti tanti anni fa, Albano Carrisi, l’onnipresente matusalemme.

Sinceramente ignoro quali fossero i problemi relativi alla nostalgia che toglievano il sonno all’ex marito della Power, ma sicuramente una canzone simile potrebbe essere dedicata ai Cloud Nothings, oppure si potrebbe tranquillamente appiccicare sul loro ultimo album un’etichetta con su scritto, appunto “Nostalgia canaglia”.[showmore]
Già, perché il quartetto di Cleveland che tanto sta facendo parlare di sè, è sì indubbiamente talentuoso, ma sembra irrimediabilmente ancorato a elementi del passato.
In linea di massima questo non è sicuramente sempre un errore, ma lo diventa se non utilizzi i suddetti elementi per dargli una nuova forma e rivisitarli in chiave moderna, ma ti limiti invece a prendere un po’ qui e un po’ lì. Si potrebbe obiettare che ogni album è derivato dall’altro, e se non ci fosse stato il precedente non avremmo nulla oggi. Sì, ok, ma così si entra in un circolo vizioso da cui è impossibile uscire.
Tanti pezzi dell’album, composto da 9 tracce, ricordano band come i Blink-182, i Green Day e tanti gruppettini dell’epopea college-punkrock; ma non si respira un’aria nuova, è tutto abbastanza prevedibile e scontato, nonostante, lo ripetiamo ancora e sottolineiamo, c’è tanto di positivo, roba buona ce n’è eccome.
Le prime due tracce (No Future / No Past e Wasted Days) sono indubbiamente due bombe, nonostante la seconda cominci a sbavare in un post-rock psichedelico assolutamente ridondante; restano però due perle, di quelle che pensi : “Se queste son le prime due tracce, questo è l’album dell’anno.”
Purtroppo, si sono davvero impegnati per smentire subito quest’ipotesi: le sette tracce seguenti si perdono nell’anonimato troppo in fretta, nonostante ci siano buoni pezzi come “Separation” e “You’re not good at anything” che tengono desto l’interesse.
Fall In
a tratti infastidisce, canzone acerba e irritante; completano l’album altre quattro tracce sicuramente non memorabili.
I Cloud Nothings, capitanati da Dylan Baldi, son quattro ragazzi nati nel vicino 1993, hanno già sfornato ottimi lavori, e una stroncatura assoluta ora sarebbe sicuramente inutile e controproducente: significherebbe solo tarpare le ali ad una giovanissima band che può sicuramente dare tanto. Hanno alle spalle, finalmente, un’ottima produzione, magari l’affiatamento tra i quattro non è ancora ai massimi storici (all’inizio Baldi era da solo, sempre sotto il nome “Cloud Nothings), hanno attenuanti ed evidenti possibilità di farcela.
Esortarli però a fare di più, ora, è sicuramente cosa buona e giusta, non tanto per noi, ma proprio per il loro bene.
Si può parlare, usando un luogo comune, di un diamante da sgrezzare: hanno tutte le carte in regola per far bene, e sicuramente lo faranno, ma devono pedalare, e non poco, per ottenere quelle lodi che sono sicuramente a portata delle loro mani.