Quattordici nomination agli Oscar, vittorie schiaccianti ai Golden Globe, ce n’è abbastanza per sentirsi minuscoli di fronte a questo La La Land, seconda pellicola dell’americano Damien Chazelle, che si sta già guadagnando lo status di classico.

Sì, qualche spoiler potrebbe esserci.

La storia di per sé è parecchio semplice. Siamo a Los Angeles, Mia è un’aspirante attrice e Sebastian un pianista jazz che vuole aprire un proprio club, i due si innamorano, ma dovranno affrontare gli ostacoli della vita. Fine. La Los Angeles che vediamo non è la classica Hollywood degli anni ’50, in stile Café Society, ma un orgoglioso ricalco dell’attuale, tra smartphone e pop da classifica, in cui saranno proprio i protagonisti a scegliere di aggrapparsi ad elementi tipici del passato, ma in realtà senza tempo (come appunto il jazz o i monologhi teatrali).

La trama non è l’elemento principale di questo musical, diciamocelo, ma non lo deve neppure essere, anche perché nonostante la storia sia trita e ritrita, i due protagonisti riescono a reggere l’intero film sulle loro spalle. Esatto, proprio Ryan Gosling ed Emma Stone, lui perfetto nel ruolo dell’orgoglioso pianista sognatore, lei splendida come al solito con quella sua aria perennemente smarrita; e pensare che secondo il piano iniziale di Chazelle, i protagonisti sarebbero dovuti essere Miles Teller ed Emma Watson (!). Dite la verità, riuscite ad immaginarveli?

La chimica dunque, e quella che c’è tra Gosling e la Stone ha dell’incredibile. Il resto lo fa la regia di un Damien Chazelle che dopo Whiplash decide di girare un altro tributo alla musica, e in particolare a quella jazz. Niente sessioni marziali di batteria a questo giro, ma l’ossessione di avere dei sogni precisi da rincorrere, con gioie e delusioni che ne derivano, e con i due protagonisti che si fanno forza a vicenda, quando arriverà il momento dell’altro di farsi prendere dallo sconforto.

Poi c’è la musica, forse l’elemento che più di tutti attirava e ripugnava il pubblico. Non tutti sono avvezzi ai musical, io ad esempio li detesto, e la sola idea di passare l’intera visione di un film a sentire cantare qualcuno mi dà il voltastomaco. La La Land però punta sulla semplicità: sono tre i temi principali della (bellissima) colonna sonora di Justin Hurwitz, di cui due candidati all’Oscar come miglior canzone (premio, aggiungerei, sicuro e meritatissimo). Someone In The Crowd è quello gioioso, un inno al cogliere le opportunità e al lasciarsi andare, che viene introdotto già dai titoli di testa (l’unico vero scoglio per i non amanti dei musical, fidatevi), e che accompagnerà le avventure dei nostri protagonisti per tutto il film. Il secondo e il terzo, più malinconici, sono il tema di Mia e Sebastian, malinconico e in punta di pianoforte, e City Of Stars, già classica, che introduce una riflessione più ampia sull’inseguire i propri sogni (peraltro artistici) in una città generosa ma spietata come Los Angeles.

Non solo i tre temi principali, dato che l’intera pellicola è permeata di musica dall’inizio alla fine, che sia in diegetica o meno. Non a caso la scena di massima tensione arriva proprio quando arriviamo alla fine del lato di un vinile, e il silenzio cala bruscamente sulla scena, facendo capire solo in quel momento anche ai più disattenti che la musica ci aveva accompagnati per tutto il tempo.

Concedetemi una digressione sulla sequenza iniziale, quella che ha fatto storcere il naso a moltissimi spettatori, e che non stava convincendo neanche me. Questo fino a quando, dopo tre minuti di canto e ballo, non mi sono accorto che l’intera coreografia era accompagnata da un unico, straordinario piano sequenza, che prosegue fino al titolo del film, e che dà una volta per tutte la conferma del talento di Chazelle alla regia. Non è l’unica situazione analoga del film, e non è l’unica intuizione meravigliosa: l’intera regia e fotografia di La La Land sono una gioia per gli occhi, compreso il finale da incorniciare, così come la scelta dei colori, una tavolozza praticamente infinita di soluzioni sempre nuove e ipnotizzanti (l’esempio più giusto – e già celebre – è il cielo viola su cui Mia e Sebastian ballano dopo la festa in piscina).

Spesso realtà e sogno si fondono assieme, quindi non stupitevi se nel trailer vedete Ryan Gosling ed Emma Stone volare, perché la sequenza finale – dolce e commovente in egual misura – rincara ancora di più la dose, pur rimanendo perfettamente nei limiti tracciati fino a quel momento: si vive, si sogna, si cade bruscamente a terra, si prova a realizzare comunque i nostri desideri. Non è quello che, nelle grandi e piccole cose, proviamo a fare tutti?

Solo amore e melodramma dunque? No, si ride anche con La La Land: si ride per il modo in cui i protagonisti si incontrano la prima volta, per il cameo (soprattutto finale) di J.K. Simmons, per Ryan Gosling vestito da scemo in una cover band, per le continue espressioni stupite di Emma Stone.

Si ride, ci si emoziona e c’è anche chi ha pianto con La La Land. Un film che pare nascere già classico, dal titolo iconico alle immagini potentissime che tornano subito in mente quando ci si ripensa, fino ad arrivare alla lunghissima serie di candidature agli Oscar (13 possibilità di vittoria). Dopo Whiplash, Damien Chazelle si conferma un fuoriclasse che sa modellare la materia cinematografica (e musicale) come meglio crede, e che ora aspettiamo al varco con qualcosa di ancora diverso, che dimostri che questo regista appena trentaduenne può effettivamente fare benissimo il cazzo che gli pare. Che è un po’ il messaggio che Sebastian vuole mandare a Mia fin dall’inizio della loro relazione: “Fai quello che vuoi, quello che desideri veramente. E che gli altri vadano a farsi fottere.”

Inseguite i vostri sogni, sempre.