Il 2017 è stato un anno molto prolifico per diverse declinazioni della black music.

Ci sono stati eccellenti dischi provenienti per esempio dai panorami rap, trap, alt-R&B, neo-soul: basti citare Kendrick Lamar, che ha sfornato il disco migliore dell’anno. Ci sono stati i Migos, che con Culture hanno forse toccato la vetta della parabola del genere trap. Dal Canada si è fatta largo la voce straordinaria di Daniel Caesar. Dalla Gran Bretagna sono usciti fuori dischi grandiosi da parte di Stormzy, J HUS, di Wiley, giusto per citarne qualcuno.

Ma veniamo a noi, e focalizziamo l’attenzione invece verso tre dischi che hanno tra loro dei punti in comune non poco significativi: sono tre intelligenti punti di sintesi di diversi stili, sono interpretati da tre donne: tre donne al tempo stesso simbolo, ognuna a modo suo, di négritude e pussy power. 

Stiamo parlando dei dischi che sono usciti nel corso del 2017 di SZA, Kelela e IMDDB.

SZA – Ctrl

Solana Rowe, in arte SZA, è stata lanciata nel gioco dalla Top Dawg Entertainment, per intenderci i tipi che hanno scovato Kendrick Lamar e Schoolboy Q.

I suoi esordi risalgono tra il 2012 e il 2013, quando pubblicò due EP, rispettivamente intitolati See.SZA.Run S.

A metà tra mixtape e primo vero album d’esordio, è il dieci-tracce del 2014, uscito in aprile, un disco digital-only che presentava collaborazioni con Kendrick Lamar, Chance The Rapper e Isaiah Rashad.

Ma proprio perché Z è stato rilasciato solo online, e senza alle spalle una major-label e una organicità del lavoro non del tutto matura, tendiamo ora a definire Ctrl il suo vero primo album.

Il disco è uscito per RCA a giugno di quest’anno ed ha debuttato alla n. 3 della classifica Billboard 200. Ma non sono solo questi numeri ad aver sancito il successo di Ctrl, perché in esso è insita una qualità enorme, che si muove lungo diverse strade.

La copertina di Ctrl

La prima è la indubbia maturità artistica raggiunta da SZA. Una maturità che coincide con uno stile unico, frutto di tanto lavoro, di tante prove, di tante soluzioni sempre in evoluzione, giunte a quanto pare ad uno stato di perfezionamento ultimo. Il disco è infatti una sintesi delle esperienze dell’artista statunitense, che provengono quasi tutte dal jazz, il neo-soul, contemporary R&B, nonché unite a sonorità proprie del pop alternativo.

Un’altra strada che percorre Ctrl sfocia in uno specchio: il lavoro di SZA è infatti lo specchio del fermento culturale che infiamma tante crews – anche se forse non è più tanto corretto chiamarle così – maturate in questi ultimi dieci, quindici anni. SZA è infatti parte integrante di un progetto grande, frutto di collaborazioni, di scambi, di solidarietà artistica. Come detto, Solana Rowe è stata lanciata dalla Top Dawg Entertainment, etichetta californiana che ha sfornato tanti talenti, ma che si rifà totalmente a un determinato humus culturale. La bravura di questi artisti tende poi a diffondersi in tutto il mondo, ma un dato parla chiaro: dei quasi 7 milioni di ascoltatori mensili su Spotify di SZA, oltre duecentomila sono di Los Angeles, California, dunque proprio da dove provengono gli esordi dell’artista. Diventa chiaro, così, un forte senso di identità, di unione: si delineano i confini anche geografici di quello che è un nucleo specifico da cui la black culture irraggia ogni angolo del mondo con la propria arte, la propria espressione.

Non a caso, anche in Ctrl continuano i consueti illustrissimi featuring che hanno accompagnato la carriera di SZA fin dagli inizi. Qua ci sono Travis Scott, James Fauntleroy, Isaiah Rushad e Kendrick Lamar, che canta una strofa-inno in cui ripete 18 volte la parola “pussy” (ah, e una volta “clitoris”).

Kelela – Take Me Apart

Kelela ha calato un asso con Take Me Apart: a 34 anni, come abbiamo avuto modo di dire per SZA, sembra aver trovato il suo stile definitivo.

Sotto l’etichetta Warp l’artista è entrata a far parte dei grandi: ma se con Hallucinogen si percepivano ancora le ali – soprattutto della sua scrittura – tarpate, con il nuovo disco invece Kelela ha liberato ogni inibizione ed ha dimostrato una emancipazione totale, sia dai propri limiti che da quelli spesso imposti dallo star system di cui fa parte.

La sua immagine poteva essere infatti un’occasione ghiotta per oggettivizzarla e farne un feticcio, una venere nera simbolo di sensualità esotica e distaccata. Ma con un colpo solo, lei ha demolito questa ipotesi, e il colpo consiste nella dolcezza e nella intimità che connotano tutta la sensualità di Take Me Apart.

La copertina di Take Me Apart

Infatti la lucidità e la schiettezza con cui il disco si apre all’ascoltatore, spazzano via ogni tabù e quindi ogni idealismo, ogni vaneggiamento: Kelela non è distante, anzi, è quanto mai vicina, per come e quanto rivela se stessa. Un espediente, questo, che inibisce ogni tentativo di cosificazione della sua immagine, che molto probabilmente poteva essere svuotata di significato per funzionare al meglio come copertina di una rivista di moda.

Insomma, non sono curve di una venere, quelle che contornano Kelela, ma sono muscoli, muscoli anche d’acciaio in molti luoghi del disco, controbilanciati allo stesso tempo dalla dolcezza e la tenerezza che provengono dalla sua sincera intimità – meravigliosi, per questo fine, i falsetti, i synth sotterranei, le voci che talvolta restano sospese nell’etere delle tracce.

Non a caso, la bravura di Kelela è stata richiamata da numerosi artisti: ha collaborato negli ultimi dischi dei Gorillaz, di Solange, di Danny Brown ed è stata in tour con gli XX.

Take Me Apart è, oltreché un disco di notevole perizia tecnica, anche un disco che rappresenta una femminilità ben specifica: una femminilità in grado di emanciparsi senza alcun tipo di radicalismo; attraverso la grazia e la sincerità è possibile comunque inibire i demoni di un sistema pericolosamente sessista.

IAMDDB – Hoodrich Vol. 3

Tra queste proposte, IAMDDB è la più acerba, ma proprio per questo forse la più interessante se si è curiosi di conoscere una nuova anima ribelle della musica britannica.

Il suo nome è più facile da decifrare di quanto sembri, dato che è una formula di presentazione, semplicemente: “Io sono Diana De Brito“. Questo è infatti il suo vero nome.

Classe 1996, è di Manchester, ed è figlia d’arte visto che sia la madre (portoghese) che il padre (angolano) sono entrambi musicisti jazz. Ed è proprio il jazz ad essere la costellazione di fondo della musica di IAMDDB.

Lei stessa ha definito le produzioni dei suoi primi EP come “Urban jazz”, una definizione non istituzionalizzata, ma che rende bene l’idea di quel che l’artista inglese sta creando: una soluzione ibrida che su fondamenta jazz edifica una struttura molto dinamica che spazia dalla trap più cruda al soul più limpido.

In lei sembrano convivere alcune delle migliori declinazioni della musica black, e lo fanno tutte in un’unica sintesi, in cui non è possibile stabilire dove iniziano e finiscono lo SWAG tipico della trap e la raffinatezza del jazz. In questo senso, IMDDB rispecchia quella cifra di ibridismo che sta diventando dominante per gli artisti della sua generazione, in cui – seppur inflazionata – l’immagine della fluidità resta sempre quella più calzante.

la copertina di Hoodrich Vol. 3

Intanto, forte della sfacciataggine dei ventun’anni e della sua attitudine, piena di cazzimma (rimando qui per il significato di cazzimma), IAMMDDB si sta godendo un momento florido, caratterizzato da complimenti e incitamenti che provengono da ogni luogo.

La giovane artista inglese è giunta ad una tappa importante del suo percorso, quest’anno: ha pubblicato Hoodrich Vol. 3, che forse chiude la trilogia ideale di suoi EP (WAEVYBBY VOLUME 1 del 2016 e Vibe Vol.2 uscito a maggio 2017); trilogia che dovrebbe essere apripista dell’album di debutto.

Ma soprattutto questa terza pubblicazione ha fin dal titolo un manifesto della sua personalità, che sta via via prendendo forma: ai microfoni di The Line Of Best Fit, che le hanno chiesto cosa fosse questo dannato “hood rich”, Diana ha risposto così:

It’s a female who has had enough. It’s a female but coming from a male perspective. I had enough of guys calling women bitches. I was like: cool, if that’s what you want to hear and say, I’ll do my version too. That’s where ‘I get bitches too, uber uber everywhere’ came from, just saying mad erratic shit. Like, okay. Fuck it, whatever.

Ecco, se non si è letto il rimando al significato di cazzimma, ora la denotazione dell’espressione può risultare più chiara.

In conclusione, ognuna di queste tre artiste ha saputo elaborare una proposta musicale che si carica sulle spalle un peso ben più ampio. Non è infatti centrale, in questi tre dischi, soltanto la ricercatezza artistica, no.

Sia Ctrl, che Take Me Apart che Hoodrich sono sì dischi belli, ma dischi che inoltre rappresentano una rivendicazione doppia: la rivendicazione di essere donna e la rivendicazione di essere nera, contemporaneamente. Questo è un nodo fondamentale per il femminismo, perché un ostacolo che ha sempre minato alla base della sorellanza universale, è stato proprio quello razziale.

Ma come spiegato, queste tre artiste convergono proprio verso il punto di contatto tra negritudine e femminismo.

Parafrasando Sartre: SZA, Kelela e IAMDDB esercitano, con le loro produzioni e le loro personalità, un forte impulso in favore della “negazione della negazione della donna nera“.