L’atto di nascita dei Superorganism si data quando Emily e Harry chiedono a Orono di scrivere il testo per una demo che le hanno inviato.

Ero nel letto, così ho scritto il testo, l’ho registrato con GarageBand sul mio merdoso MacBook in su per giù 30 minuti e l’ho rimandato a loro.

Nasce così Something For Your M.I.N.D., il primo singolo di una band che è un animale strano, un organismo informe che più passa il tempo e più si ama.

Ma seppur dai contorni mobili, andiamo ad approfondire questa creatura.

I Superorganism sono un gruppo di 8 membri, il cui nucleo centrale parte dagli Eversons, band indie nata nel 2011 e formata da Emily (Mark David Turner), Harry (Cristopher Young), Robert Strange (Blair Everson) e Tucan (Tim Shann).

In una loro data asiatica, tra il pubblico, c’era Orono Noguchi, teenager giapponese ma che frequenta la scuola nel Maine. La fan riesce a stringere amicizia con gli Eversons grazie a un meme degno di nota e con loro comincia a intrattenere un rapporto tutto virtuale fatto di Skype, di meme e affini.

La band scopre, dopo un paio d’anni di amicizia, che Orono canta ed ecco che le viene proposto il progetto di cui sopra.

L’animale strano prende forma e comincia a muoversi, comincia ad avere fame. Per soddisfare l’appetito, fagocita pure le artiste neo zelandesi Ruby e B, cantanti coriste ma anche strumentiste. L’organismo è diventato grande, troppo grande, ha bisogno di un suo habitat: i membri degli Eversons, Ruby, B e poi Orono (che intanto finisce scuola) creano il loro ecosistema nell’est di Londra, vanno ad abitare insieme in una casa che diventa anche il loro studio attivo h24.

Ed è lì che i Superorganism completano la formazione, aggiungendo nel corredo genetico dell’animale anche Soul, artista sudcoreano ma di stanza a Sidney, la coda dell’organismo, visto che è l’unica parte del gruppo che non va a vivere a Londra.

Ma poco importa, perché la comunicazione e il lavoro creativo dei Superorganism non ha limiti, insomma, basta loro una connessione a internet. L’animale strano è molle, fluido, sembra che eviti le leggi dello spazio e del tempo dentro il suo ecosistema.

Membri da ogni angolo del globo, una alchimia improbabile guidata dalla frontwoman che è nata del 2000 ed ha dieci, quindici anni in meno rispetto a tutti gli altri componenti della band.

Nella casa londinese si forma una fabbrica ma con l’opposto della catena di montaggio, dove ognuno fa quel che gli pare per sfornare il prodotto: si tratta di un altro Superorganism, ma stavolta è il disco. E senza un profilo preciso come l’animale che lo ha generato, anche l’album si dimostra tale.

L’album è un dieci tracce, prodotto con la Domino Recording, fatto di plastica, di liquidi strani, sostanze mollicce, synth, chitarre, morsi di mela. Si tratta di un disco che esula dal mondo reale, rimanda a grafiche in HTML, a solo due dimensioni, a un internet primordiale, al Tamagotchi, al Game Boy e Pokémon giallo. Sembra che tutto sia una nebulosa di parole e di suoni, veicolati dalla voce calda e dalla mente di Orono, tipo come tutto il mondo di Doraemon, del quale alla fine si viene a sapere che era frutto della mente di Nobita. Ma qua Orono non è un anime, è una in carne ed ossa: benché il progetto sembri frutto di realtà aumentata, virtuale, è comunque un prodotto del mondo reale.

Allora l’idea che danno i Superorganism è quella di aver sfondato una quarta parete, ma non si sa bene quale.

Senza dubbio con i loro contrasti interni anagrafici, geografici, stilistici hanno rotto ogni tipo di rapporto che c’è con la tradizione di una generazione, di un paese o di un genere preciso, come dimostra la playlist dei loro brani preferiti:

La loro idea di studio come factory ha poi sfondato ogni ruolo prestabilito. Le mansioni dei membri della band sono varie e intercambiabili e ricoprono ogni ambito; anche le mansioni più sceme sono organiche.

Grossomodo, Orono è la cantante, si occupa dei testi e dipinge; è supportata nella scrittura da Emily e Harry che si occupano poi delle produzioni e rispettivamente di synth e chitarre; Tucan è tutto fare in fase di produzione, nonché batterista del gruppo; Robert Strange cura invece la componente visiva dei live e delle pubblicazioni (per rendersi conto del suo lavoro basta riprodurre il disco su Spotify o visitare il sito della band); Ruby, B e Soul si occupano invece dei cori, delle coreografie e di tutte le stramberie che rendono i live dei Superorganism una esperienza ancor più ironica e piacevole.

Perché l’animale strano – va specificato – è innocuo e mansueto, simpatico e empatico, quando lo si incontra in un palco.

Forse sta proprio qui dentro il segreto strano dei Superorganism, l’essersi innestati in una zona di mezzo dove convergono tanti elementi confusi e distorti caratteristici dei nostri giorni. Sanno giocare con i punti di flesso delle categorie fondanti del nostro pensiero. Sarebbe tutto più semplice se avessero ragionato come Damon Albarn e fossero quindi protagonisti di un cartone animato.

Ma questo animale strano è nativo del mondo reale. Ed è una bellissima sorpresa del 2018, ancora tutta in crescita, visto che più passa il tempo e più offre occasioni per entrare in loop con il suo mondo ipnotico.

E lasciarsi fagocitare si fa col sorriso.

Ah, i Superorganism arriveranno in Italia al Radar Festival, il 9 giugno!