CINE CHINESE MUSIC AWARS

977 milioni di persone.

Provate ad immaginarvi l’intera popolazione degli Stati Uniti, della Russia, del Giappone, del Brasile e del Messico. Ecco, ora avete un’idea delle dimensioni potenziali del mercato musicale cinese. La Nielsen, un’azienda americana che si occupa di ricerche di mercato, ha portato avanti uno studio piuttosto approfondito sul rapporto tra cinesi e musica, analizzando tanto la popolarità dello streaming e le abitudini di acquisto quanto i “numeri” dei live.

Il risultato? In Cina la musica la si ama eccome: il 75% della popolazione la ascolta almeno ogni settimana. Siamo vicini alle cifre di due dei maggiori “divoratori” di musica al mondo: la Gran Bretagna con l’85% e gli Stati Uniti, che fanno da traino con il loro 91%. Insomma, anche in Cina ascoltare musica è un’abitudine popolarissima. Fino a qui, direte voi, ben poche sorprese.

chinni

La cantante cinese Zhou Bichang, vincitrice del Best Female Singer trophy ai China Music Awards 2015, a Macao.

Le cose si fanno interessanti quando si indaga un po’ sul come la si ascolta. Si scopre allora che la parola chiave è pirateria, diffusa a livelli altissimi in tutto il paese.
Il mercato musicale occidentale, ovvio, guarda alla Cina come ad una miniera d’oro: il numero dei consumatori, l’abbiamo detto, sarebbe potenzialmente enorme. Il problema è che i suoi guadagni sono stati finora scarsi, specie se comparati con quelli del mercato americano (solo 35 milioni di dollari per la Cina contro i 91 milioni degli USA, secondo l’IFPI).
Il motivo è semplice: i consumatori cinesi sono abituati ad ascoltare musica quasi esclusivamente gratis, grazie a tutta una serie di piattaforme online che offrono questo tipo di servizi.

Prendiamo Alibaba Music Group, fondata dalla chiacchierata compagnia di Jack Ma e che controlla quasi il 20% del mercato nazionale dello streaming, grazie soprattutto alla partnership con BMG e con le etichette cinesi Rock Records e HIM Records. O ancora QQ Music, la piattaforma creata da Tencent, rivale di Alibaba che può vantare accordi con Sony Music e Warner Music Group. Proprio i dati di QQ Music evidenziano che nel 2014 Pharell Williams e Iggy Azalea hanno superato nel paese i 10 milioni di streaming (illegali). Leader del mercato rimane poi Kogou, che serve da sola alcune megalopoli come Shenzen. E queste sono solo le piattaforme più grandi (ci sarebbero da ricordare anche NetEase Cloud Music, Yinyuetai e ancora e ancora).

Il lancio di Alibaba Music Group da parte della compagnia di Jack Ma.

Va detto anche che queste piattaforme, fino all’estate scorsa vere e proprie oasi di pirateria, si stanno di recente attrezzando per rendere i loro servizi legali, facendo pagare almeno una piccola quota agli ascoltatori e stringendo accordi (vedi Alibaba) con le etichette. Un cambiamento che è stato frutto di una direttiva emessa a luglio 2015 dal governo per garantire un maggior rispetto della proprietà intellettuale.

Spotify, Apple Music, Google music: perché le piattaforme occidentali in Cina non funzionano?

Prendiamo il caso di Spotify, il gigante dello streaming presente il oltre 50 paesi ma non in Cina (esiste invece la versione di Hong Kong). Spotify offre un servizio di ottima qualità, ma è anche vero che ha un prezzo (9,99$ al mese in USA). QQ Music, che offre un servizio praticamente identico a quello di Spotify, costa invece poco più di un dollaro al mese (1,60$). “È il mercato, bellezza, e non puoi farci niente”, direbbe Humphrey Bogart.
Penetrare nel mercato cinese è più facile a dirsi che a farsi. Basta guardare la parabola di Google Music, costretta a chiudere la sua versione cinese nel 2013 a causa delle “performance inaspettatamente deludenti”.
Al di là dell’estrema competitività del mercato, però, c’è un altro problema: i gusti. Solo il 10% della popolazione ascolta musica non-cinese. Colpa della censura del governo? Forse. Ma il problema rimane per le compagnie occidentali, che spesso, pur avendo un’offerta più ampia, faticano ad adattarsi ai gusti musicali del paese.

Le prospettive per il futuro, poi, non sono esattamente positive. Proprio a partire da quest’anno il Ministro della Cultura ha annunciato che le compagnie che offrono musica online saranno obbligate a filtrare “i contenuti potenzialmente dannosi”. Alibaba e Tencent, che già avevano un meccanismo di censura dei loro contenuti, lo potenzieranno grazie alle nuove direttive.

Ma consoliamoci.

Se il video che vedete qui sotto (rap comunista feat. il Presidente Xi Jinping) viene considerato dai cinesi hip, forse noi occidentali non ci stiamo perdendo granché.