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Ecco Tizio, giovane fan sfegatato che vuole andare a tutti i costi a sentire il live dei Radiohead. Brama i biglietti e, carta di credito alla mano cerca sul sito autorizzato alla vendita. Ma che sfiga! Sono sold out.

Nessun problema, dicono alla pubblicità; ci sono i siti di Secondary Ticketing, dove puoi trovare di tutto, a volte anche biglietti di eventi che ancora non sono stati distribuiti ufficialmente. Sostanzialmente si tratta di portali dove i fan si scambiano biglietti di concerti, eventi teatrali o anche sportivi, ovviamente a titolo oneroso.
Wow! Disneyland? No! La casa degli orrori.

Infatti, da un’inchiesta condotta in Gran Bretagna da Dispatches (una specie di corrispettivo delle nostre Iene) è emerso un quadro piuttosto inquietante.

Per farla breve, i dipendenti dei maggiori siti di Secondary Ticketing, come Viagogo e Seatwave, creano diversi account con nomi farlocchi e false identità, al solo scopo di aggirare i limiti sulle vendite che vengono imposti dalle catene di distribuzione (una su tutti Ticketone), le quali – com’è noto a tutti – vietano la compravendita di più di un numero x di tagliandi per persona.

In questo modo, ogni dipendente riesce ad accaparrarsi – illecitamente – una serie di biglietti, che poi vengono piazzati sui portali di vendita di seconda mano. Dunque, si viene a creare una sorta di intermediario (non ufficiale), a discapito del consumatore finale che, va da sé, si vedrà costretto a compravendere il biglietto a prezzo ultramaggiorato senza alcuna logica. L’anello forte della catena distributiva si arricchisce indebitamente e Tizio rimane con le braghe calate.

Facciamo un esempio: mettiamo che ogni azienda abbia alle proprie dipendenze 20 persone, che ognuna di queste crei 20 finti account e che ogni avatar artificiosamente creato riesca ad acquisire 2 biglietti: se i conti tornano sono già 800 biglietti sottratti dalla disponibilità del singolo utente (rectius persona fisica reale). Mettiamo che la capienza per l’evento in questione sia di 1000 persone, il gioco è fatto e l’incazzatura sale alle stelle. Se poi si pensa che per ogni biglietto si può arrivare anche a 1500 Euro, la Madonna e tutti i Santi sono avvisati. Bestemmie in arrivo!

In Italia il fenomeno è ancora sconosciuto e – come spesso accade – non ancora giuridicamente qualificabile. Noi siamo ancora abituati al panzone con l’occhio di vetro che si piazza al parcheggio e al grido di “Compro biglietti” si fa i soldi. Ma cambia davvero qualcosa rispetto a quello che possiamo tranquillamente definire bagarinaggio on line? E soprattutto, esistono tutele?

La delinquenza arriva sempre prima della legge ed infatti c’è un vuoto normativo di non poco conto, se si pensa al giro d’affari che può starci dietro, o anche semplicemente all’utilizzo che può essere fatto di tutti questi soldi, da parte di società così poco trasparenti. (nelle more Viagogo ha curiosamente modificato la ragione sociale e trasferito la sede legale in Svizzera). Senza iniziare un discorso palloso e poco comprensibile per i non addetti ai lavori, i reati astrattamente configurabili sono molteplici: truffa, riciclaggio, ricettazione, sostituzione di persona, senza contare le diverse violazioni in ambito civilistico. E La Suprema Corte di Cassazione non ci viene in aiuto. Infatti, secondo gli ermellini fino a che non viene dimostrata la provenienza illecita del bene (nel nostro caso il biglietto) nessun addebito può essere mosso, né all’acquirente, né al bagarino. E aggiunge, nella nota sentenza n. 10881 del 2008 che “pur prescindendo dagli elementi dell’abitualità della suddetta attività e dalla sussistenza di una, sia pur minima, organizzazione dei mezzi, chi acquista e poi rivende a proprio rischio non compie alcuna attività di intermediazione, neppure atipica.”

In altre parole, il bagarino rimane impunito, il nostro amico Tizio ha speso una barcata di soldi, ma almeno non finisce in carcere.

In Inghilterra, invece, la questione è arrivata fino in Parlamento e sono stati varati diversi provvedimenti legislativi, oltreché procedure d’accertamento da parte dell’Antitrust. In vista delle Olimpiadi dello scorso anno, infatti, Sharon Hodgson ha chiesto ed ottenuto un provvedimento che vietasse la messa a disposizione di biglietti dell’evento (e di molti altri) su tali siti.

Ma non se ne parla solo ai piani alti; anche gli stessi artisti, infatti, stanno correndo ai ripari, per difendere la propria arte, ma soprattutto i fan.

Radiohead, Blur, Munford & Sons, Muse, Bruce Springsteen; tutti sono incazzati come delle bisce e si stanno dissociando da questi siti-truffa per approdare nel mondo delle fiabe del Secondary Ticketing etico: maggiorazione di biglietti limitata entro una certa soglia, in alcuni casi divieto assoluto di modificazione del costo stampato sul tagliando ed interfaccia diretta – ove possibile – col fan (Ticket Trust o Twickets ne sono un esempio).

Sì il fan, figura mitologica destinata a scomparire e che oggi si trova in mezzo a due fuochi, tra l’esserci a tutti i costi senza partecipazione e la logica del guadagno. Una logica, non più di strada, pittoresca e rintracciabile, ma una logica invisibile fatta di account, carte di credito e colletti bianchi.

Perché, a ben vedere, quando si parla di soldi e speculazione, spariscono i fan e rimangono solo i mariuoli.

Banda-bassotti