Qualche tempo fa avevamo visto una foto che ci aveva fatto drizzare le antenne: Alberto e Luca Ferrari in studio, piuttosto affaccendati.

Una foto che racconta tutto, ma soprattutto racconta niente, perché è ovvio che due musicisti di professione trascorrano del tempo nel loro “ufficio”, e pertanto, anche se ci sono le basi per condurre deliziosi voli pindarici, quel post su Instagram non veicolava nessuna informazione certa, sicura: appunto, ritraeva solo due musicisti alle prese con il loro lavoro quotidiano.

Però ecco, immaginare non costa niente; quell’occasione non ha vietato di formulare alcuni pensieri che giacevano sepolti, e soprattutto ha offerto il pretesto per rendere urgente un desiderio: maledizione, vogliamo che i Verdena tornino, e al più presto!

Partiamo con il motivo più ovvio: perché mancano da tre anni e mezzo. Vero, la loro ultima fatica ha soddisfatto molto gli appetiti: il doppio album Endkadenz  (Vol. 1 e Vol. 2) è stato una scorpacciata enorme, e enormemente gustosa. Ma insomma, ormai possiamo considerarlo pienamente digerito, e diventato parte integrante della discografia ventennale del trio bergamasco.

La doppia uscita del 2015 ci ha offerto delle perle grandiose, che istantaneamente sono state accolte a braccia aperte, e che ora, col trascorrere del tempo, sono entrate di diritto nell’etere dei pezzi più significativi dei Verdena: Un po’ esageri, ad esempio, ormai è posto laddove vivono Valvonauta o Trovami un modo semplice per uscirne.

Questo fatto fa capire che quindi ogni cosa che era nuova è stata assimilata e apprezzata come si deve, e verrà, in futuro, goduta come “classico” del gruppo. Tutto grandioso, certo, ma proprio per questo il bisogno di nuova musica dei Verdena si fa impellente.

Se si fa il punto della situazione, negli ultimi anni, con l’esplosione dell’ondata trap e della bolla it-pop, il rock alternativo, in Italia, è stato lasciato in disparte. Abbiamo potuto apprezzare, di recente, i GOMMA, i sempreverdi FBYC, le soluzioni acide di Giorgio Poi, ma oltre a questi ed altri profili, di chitarre interessanti se ne stanno sentendo poche dalle nostre parti. Quindi ecco, se si riapre Endkadenz Vol.1 e lo si fa girare sul piatto, davanti a quel muro di suono lo-fi che parte già tutto armato con Ho una fissa, non si può che ricordare quanto i Verdena siano un fuoco solitario e libero del panorama musicale italiano.

Ed infatti, una cosa di cui si sente mancanza, è proprio la loro libertà: l’ampio spazio entro cui i Verdena, in grado di dribblare anche il peso della grande etichetta alla quale sono legati, muovono e costruiscono la loro musica. La libertà d’azione di Alberto Ferrari, la gestione e il carisma di Roberta Sammarelli, il percorso sempre più approfondito e degno di nota di Luca: tutti ingredienti unici e liberi, che esaltano i lavori della band, rendono le loro idee sempre un passo oltre all’immaginabile e al prevedibile.

Vorremmo un imminente ritorno dei Verdena perché sarebbe bello poter ascoltare un disco in cui la determinante centrale dell’ascolto ridiventi l’orecchio: sembra un’ovvietà, ma così non è. Una delle critiche più famose che accompagna la carriera della band, è infatti quella relativa ai testi: Alberto Ferrari – si dice – usa un bagaglio di parole limitatissimo, usa parole spesso scollegate tra loro, che insieme, talvolta, hanno poco senso.

Ma questo che viene definito un difetto, è in realtà parte integrante dei Verdena: le parole hanno un peso inferiore rispetto agli strumenti, sono un ornamento. Nell’economia generale delle canzoni dei Verdena ciò che deve prevalere è il piacere dell’ascolto, è il suono finale: ciò che più di tutto bisogna aguzzare per apprezzare al meglio i loro lavori, è proprio l’orecchio. Fatto, anche questo, piuttosto passato in sordina nell’attuale panorama musicale nostrano, in cui, in molti casi, le parole predominano; si sfocia spesso in gare di ricerca all’espediente retorico più geniale, più inusuale, più condivisibile assieme alle foto mezzi nudi.

Allora si potrebbe pensare che, di pari passo con la rinascita del vinile, un nuovo lavoro dei Verdena potrebbe essere l’occasione giusta per gustarsi un disco italiano che in questo formato possa tornare a fare la differenza, permettendo all’ascoltatore di apprezzare il suono nella sua accezione più avvolgente e totale, quel suono che la band bergamasca pone in continua evoluzione e mutazione, sempre ricercato, mai perfetto: ed è bello proprio per questo. Insomma, i Verdena ti portano a desiderare l’ascolto in vinile; affermazione curiosa, ma che dice molto sulla qualità del lavoro al quale ci hanno abituati. [Poi oh, non dimentichiamoci altri risvolti pratici della musica dei Verdena: in altri pochi concerti italiani si poga tanto bene quanto ai loro!]

È vero, di mezzo c’è stata la collaborazione con Iosonouncane, ma ecco, il tempo trascorso dall’ultimo lavoro in studio dei Verdena comincia a essere davvero tanto. E quindi, benché quella foto dei fratelli Ferrari non abbia detto niente di particolare, ci piace pensare che nel Pollaio (soprannome del loro studio), qualcosa di importante si stia muovendo, e ci auguriamo che molto presto si possa tornare ad ascoltare un lavoro italiano dal respiro europeo, chitarre significative, percussioni sempre più sperimentali, produzioni imperfette, ma libere e autonome, per le quali le cuffiette o la piccola cassa bluetooth da 9 euro comprata su Amazon al Black Friday non bastano. In poche parole: ci auguriamo che molto presto si possa tornare ad ascoltare un nuovo album dei Verdena.