L’occhiolino di Jude Law al rallenty. Con questa semplice mossa Paolo Sorrentino ci cattura sin dalla sigla del suo papa giovane, così non convenzionale, così ambizioso, così sfacciato. Un’entrée degna della conturbante Pam Grier di Jackie Brown, che a sua volta citava l’inizio de Il Laureato, a proposito di seduzione.

La prima serie tv del regista napoletano (prodotta da Wildside per Sky Atlantic) ha diviso molto, come era ampiamente prevedibile. Intanto si tratta della prima volta che Sorrentino si misura con la narrazione a episodi, tanto per fare una precisazione banale quanto necessaria. E poi il suo stile, quello che l’ha portato all’Oscar con La Grande Bellezza, è così sfrontato e ridondante che con The Young Pope non ha fatto altro che ribadire la profonda spaccatura tra chi lo venera e chi lo ritiene semplicemente indigesto.

3o6zteyo9j761zutvq

Sottraendoci per un attimo all’elenco delle ragioni del sì e del no (parole velenose in questi giorni), da buoni appassionati di musica ci vogliamo soffermare sulle scelte musicali che hanno accompagnato le gesta dell’imprevedibile Lenny Belardo. E, come già nelle opere precedenti di Sorrentino, (Il Divo su tutti) c’è del vero buon gusto.

Torniamo alla sigla, quella in cui Lenny/Jude ci rivolge lo sguardo di Monnalisa giusto un attimo prima che il meteorite colpisca il papa Wojtyla di Cattelan. L’irresistibile tema musicale che segue il passo cadenzato del protagonista non esce più dalla testa, e c’è un Nobel di mezzo: si tratta di (All Along The) Watchtower di Bob Dylan nella versione – strumentale – di Devlin. Eccola col testo cantato:

Lenny Belardo è un papa atipico, l’abbiamo detto. E non solo per questioni anagrafiche: la sua intenzione è quella di rivoltare la Chiesa come un calzino. Ma non attraverso aperture e indulgenze, bensì con l’arroccarsi su se stessa, con rigore e intolleranza. Quando rivela alla responsabile marketing del Vaticano (un’affascinante Cécile De France) il suo piano rivoluzionario di rendersi invisibile alle masse, il papa cita J.D. Salinger, Kubrick, i Daft Punk, in una delle scene più intense della serie. E a sottolineare questo come gli altri momenti chiave della storia arriva puntuale Recondite. Scelta di classe.

Non poteva mancare il tocco nostrano. Senza Un Perché di Nada ha un vero ruolo centrale nel quarto episodio, a cui è dedicata anche la scena finale: la bellissima prima ministra della Groenlandia che balla sinuosa in solitudine.
E così il brano è entrato in classifica 12 anni dopo l’uscita. Amen.

Quanto si diverte Sorrentino a mescolare l’alto e il basso. E quindi, come neanche in un film di Sofia Coppola, assistiamo alla sacra vestizione del papa a colpi di LMFAO. Perla narcisistica definitiva: l’occhiale scuro. Perché è sexy e sa di esserlo.

Vaticano, luogo di trame oscure e giochi di potere mentre si porge l’altra guancia. Ma Lenny Belardo è il krack che nessuno si aspetta.

La grandezza delle scelte musicali di The Young Pope sta nell’eterogeneità, nel sapersi contraddire al momento giusto. In questo caso quella di Leonard Cohen diventa una presenza necessaria, che fissa l’eternità della sua arte.

Molte immagini della serie presentano una bellezza così armoniosa da sembrare dei quadri. Suor Mary tira al canestro, da sola, e il piccolo Lenny scopre l’attrazione sessuale. Anche le attività quotidiane delle suore, dei vescovi, dei fedeli sono raffigurate con la delicatezza di chi sa apprezzare i dettagli, le luci, l’aria che si respira. E intanto Lotte Kestner dà una nuova anima al successo di Beyoncé.

Il climax finale dell’episodio 9 – forse il migliore di tutti e dieci – è ricolmo dell’amore di un orfano mai riconosciuto dai genitori. Un rapporto irrisolto che ha dato vita a un papa eclettico e umorale dagli occhi famelici di chi arde dentro. Di chi è capace di ammettere il dubbio della fede a se stesso.

Infine, per chi volesse approfondire ancora di più, c’è la playlist ufficiale di Spotify che viene incontro a voi fedeli.