La voglia di raccontare la storia di Ben Howard mi è venuta perché la notizia della sua prima performance italiana è passata, con sommo stupore, in sordina. Mi sono chiesta “è mai possibile che nessuno qui si sia accorto di lui?”.

Perciò mi sono proposta di partire dall’inizio e pormi una semplice domanda: chi è Ben Howard?

Per molti questo nome non delinea alcun volto, non rievoca nessuna canzone: eppure Benjamin John Howard da Londra, Inghilterra, di strada ne ha fatta, di hooks ne ha scritti, e di copie ne ha vendute decisamente tante.

L’impressione è che il “fenomeno” Howard sia esploso quasi dal nulla nel lontano 2011 con Every Kingdom, il debutto subito nominato al Mercury Prize, album ricco di ballate folk/acustiche, trainato dalle hit Only Love e Old Pine. Nessuno all’epoca si aspettava che un semi-sconosciuto potesse vendere 600.000 copie in UK (un milione a livello mondiale) e si potesse portare a casa ben due BRIT Awards (Breakthrough Artist e Best Male Artist). Ma l’oggi 30enne musicista britannico si è guadagnato tutta la sua considerazione semplicemente suonando, tanto e ovunque.

Così, dopo un mese di show sold-out in tutta Europa, proprio nel 2011 gli viene offerto il sogno di ogni artista: un contratto discografico con la Island Records. È la storia di un ragazzo e della sua chitarra… a voi chi ricorda? Proprio lui, Ed Sheeran; ma piano con i paragoni: il pop di Ben Howard non è mai stato banale, non è mai stato per tutti. Ciò che colpisce immediatamente è la sua abilità tecnica: chitarrista mancino che fa del fingerpicking la sua arma migliore e delle accordature aperte il suo habitat naturale.

Come ogni vero artista, la metamorfosi è latente e nel 2014 avviene la svolta decisiva, I Forget Where We Were. Addio al folk scanzonato e dolce che lo aveva caratterizzato, spazio ad un nuovo suono, più grande, più complesso: con questo disco Ben Howard sembra quasi dire “questa non è roba per ragazzini“. Proprio quei ragazzini che lo avevano portato in alto, quelli che con Every Kingdom lo avevano tanto amato. Non a caso è diventata celebre una sua affermazione in una intervista con l’inglese Standard: the more attention I got, the less I wanted it.

Cosa è cambiato e, si può davvero rinunciare ad una formula dal successo garantito in favore di una ricerca artistica che porta in una direzione radicalmente opposta? La risposta è sì.

Si parlava di svolta e uno dei motivi di questo cambiamento è lei: l’ansia. L’ansia è uno dei temi principali del sophomore, messa in risalto dalla sua disarmante onestà:

The past couple of years [touring Every Kingdom] I was drinking a lot and I obviously had a lot of attention as well, so it was quite nice to go away and write a record just drawing on what I was feeling [about that]. I was quite anxious about a lot of things, so that’s kind of really pushed itself to the forefront in a few of the songs. I just write about myself all the time, which is a funny one, because I don’t really like sharing much stuff with other people, apart from music.

I Forget Where We Were ha il merito di elevare artisticamente Howard, raffinando la sua cerchia di adepti. Le sue grandi doti chitarristiche qui giganteggiano e risuonano come mai prima, grazie ad un uso sapiente di echi e riverberi, nuova cifra stilistica per un artista che comunque non rinuncia completamente a quella chitarra acustica che gli aveva portato fortuna in passato. Anzi, la combinazione chitarra acustica/echi permette ad Howard anche di esplorare il territorio degli assoli, sempre alla sua maniera. Le ansie, le paure, un “affair” finito decisamente male e lo sgomento che ne consegue, tutto viene raccontato a livello sonoro, per un album in cui gli spazi musicali si fanno sempre più lunghi, con pezzi che superano spesso i 4 minuti.

Difficilmente salti nel vuoto di questa portata portano fortuna a chi li compie, ma non a Ben Howard che anzi vede crescere ulteriormente la sua popolarità, grazie anche ai suoi live, esperienza sonora tesa e intensa.

È già storia il suo set di Glastonbury sulla Pyramid Stage del 2015.

Poi il nulla. Dopo il tour americano del 2015 Ben Howard scompare, di lui non si sa più niente fino ai primi mesi del 2018, in cui il suo nome comincia a riapparire nelle lineup di alcuni festival europei. Unica parentesi, la collaborazione al progetto A Blaze of Feather nel 2017, band costituita dai musicisti con cui Howard suona in tour. Finalmente all’inizio di aprile l’annuncio del ritorno, un nuovo album, Noonday Dream in uscita il primo giugno con A Boat To An Island On The Wall come primo singolo. La sperimentazione sonora prosegue, mentre le liriche ci restituiscono un Howard sempre in bilico sul suo precipizio emozionale, attanagliato dai dubbi esistenziali.

To care or not to care, to be there. In the distant and the uncertain, to be aware.

Il dono di Ben Howard è quello di riuscire ad arrivare con le note della sua chitarra là dove le parole falliscono: sarà in Italia per un’unica data, il 4 luglio all’anfiteatro Vittoriale a Gardone Riviera.

Non perdetevelo.