Lo confesso: ho comprato il biglietto – pure un giorno prima, ché avevo paura di non trovarne più – per Genuine solo perché sapevo che ci sarebbe stato quel pazzo visionario di Alberto Ferrari. Perché va bene il cinema sperimentale, ma ditemi voi chi sarebbe stato attratto, in una pigra domenica sera, da un film muto, tedesco ed espressionista degli anni ’20 – di quelli che nemmeno la Cinémathèque française si sarebbe sognata di proiettare. E invece.

E invece, nemmeno troppo convinta, alle 21 in punto sono davanti alla sala 1 del Cinema Massimo, nel centro di Torino. In sala, però, non ci fanno entrare: Alberto sta ancora provando e riprovando, e si sente.  Si è presentato molto più tardi del previsto, o almeno cosi capisco origliando le conversazioni degli addetti ai lavori, e me la rido insieme ad altre fan, abituate alla non proprio svizzera puntualità dei concerti dei Verdena. Poi arriva il via libera: la sala è quasi piena, un nastro segnaletico bianco e rosso mi impedisce di sedermi in prima fila, ma agguanto un posto in seconda.

Al centro del palco, proprio sotto allo schermo, lo aspettano chitarra, ampli, synth e pedaliere. Si siede. Si spengono le luci. Silenzio.

Lo sentiamo affannarsi nella penombra e poi urlare al fonico “Non sono pronto!”. Ci facciamo un’altra risata – l’ultima, considerate le atmosfere che ci riserverà il film.

Sì, perché l’opera di Robert Wiene – già regista del capolavoro “Il Gabinetto Del Dottor Caligari” – non è certo facile. Sacerdotessa caduta in disgrazia e venduta al mercato degli schiavi, Genuine è una femme fatale assetata di vendetta, una figura demoniaca che attrae, seduce e asservisce. I costumi e le scenografie espressioniste, le geometrie occulte e simboliche lo rendono un soggetto ideale per Alberto che, ricurvo su sé stesso, soffre e vaneggia, farnetica e si tormenta come i personaggi a cui cerca di dare una parola, un verso, un suono. La sua chitarra è la schizofrenia di Lord Melo e la folle sensualità di Genuine, il suo piano è l’ironia inquietante del barbiere Guyard e il delirio dell’innamorato Florian.

Melodie che raccontano l’orrore e l’assurdo, il poetico e il macabro, l’amore e la morte.

Settantadue minuti dopo si riaccendono le luci.

Io, che i biglietti li avevo presi sperando di ascoltare l’Alberto dei Verdena, ho dimenticato Endkadenz, ho dimenticato WOW, ho dimenticato perfino i Verdena. Solo una combinazione perfetta di immagini e suoni. Un’esperienza mistica.