L’estate 2017, da quando abbiamo memoria, è stata una delle più prolifiche dal punto di vista dei tormentoni.

L’ondata latino americana con in testa Despacito ha dominato tutto, i dj più famosi e ricchi del pianeta hanno cacciato fuori il canonico singolo miliardario con la voce prestata dalla popstar del momento, che quasi sempre è Justin Bieber, Justin Bieber, tanto Justin Bieber.

E l’Italia? I tre mesi estivi sono stati un trionfo per la programmazione radiofonica estiva nostrana: tormentoni da tutte le parti, da Benji e Fede ai comunisti col Rolex, da quelli di Amici (antichi e novelli) a quelli di X-Factor (antichi e novelli), tutti presenti nessuno escluso con le loro melodie e i loro ritornelli tormentanti, tormentosi.

(Ah, biciclette Atlas, dimenticavamo.)

Allo stesso tempo, è stata anche un’estate di ottimi dischi che aspettavamo da tempo, come il ritorno dei Phoenix, l’affermazione di Lorde, Everything Now degli Arcade Fire e tanta altra roba che in maniera certamente non tormentante, ha lietamente condito la nostra estate con sonorità freschissime, ballabili, conciliabili col sole che ha avvampato e non poco le nostre giornate.

Poi però, e qui veniamo a noi, c’è stata proposta anche tanta altra roba che col sole estivo non ha stretto alcun patto, ed ecco che album eccellenti, vuoi perché schiacciati dai tormentoni, vuoi perché hanno avuto meno risonanza e affinità col pubblico rispetto alla freschezza di altre ottime uscite, si sono un po’ persi per strada.

E dunque, se non sono stati valorizzati a tempo debito, qui di seguito vogliamo proporre 10 dischi che sarà bene riprendere in mano quest’autunno/inverno per poter dare loro il lustro e l’ascolto che meritano.

In ordine sparso:

1) Sufjan Stevens, Nico Muhly, Bryce Dessner, James McAlister – Planetarium

Un disco concettuale eccezionale, che come si può già notare, è frutto di un poker di collaborazioni di alto livello. Il risultato sono diciassette tracce che hanno come denominatore comune il cosmo, l’universo, sia quello propriamente astronomico, scientifico, sia come concetto filosofico-esistenziale. Il disco è frutto di anni di lavoro e progettualità, che vede la genesi quando al compositore Nico Muhly (già collaboratore di Björk, Grizzly Bear) fu commissionato di costruire una piece da proporre al pubblico della sala concerti olandese Muziekgebouw Eindhoven. Muhly allora, impegnato ovviamente alla parte orchestrale e sinfonica, decise di coinvolgere Bryce Dessner dei National alle chitarre e alla composizione, Sufjan Stevens (forse colui che emerge maggiormente nel disco) alla voce e ai testi e infine col cantautore di Detroit arrivò anche James McAlister, suo fidato collaboratore, alla sezione elettronica del disco. Planetarium, dopo una evoluzione passata per alcuni live, viene pubblicato il 9 giugno 2017, e per chi se lo fosse perso, ora è tempo di incontrarlo.

2) Daniel Caesar – Freudian

Direttamente da Toronto, ecco la voce R&B più promettente del momento. Daniel Caesar, classe 1995, ha debuttato con Freudian il 25 agosto 2017 ed ha in breve tempo conquistato consensi da parte di mezzo mondo. Il suo primo LP è composto da dieci canzoni, quattro delle quali presentano collaborazioni preziose, e nelle restanti sei c’è la calda e attraente voce singola di questo ragazzo, che di R&B, soul e soprattutto background gospel ha fatto il suo marchio di fabbrica. Della componente gospel ne risentono molto anche le tematiche, spesso racchiuse in dimensioni sacrali, così come è elevato e connotato in maniera profonda e quasi religiosa l’amore che Caesar canta in tutto il disco. A primo impatto sentirete forse riecheggiare Frank Ocean, sicuro punto di riferimento del giovane canadese, ma poi vi accorgerete che che c’è tanto altro, e che, in ogni sfumatura della sua voce fino al falsetto, Daniel Caesar ha la stoffa di fuoriclasse.

3) Anna Of The North – Lovers

No, non è un personaggio di Game of Trones, bensì è una cantautrice norvegese di ventotto anni il cui vero nome è Anna Lotterud, che ha cominciato ad affacciarsi nel pop che conta dal 2014. Prima ha ottenuto l’attenzione di The Chainsmokers e poi di Kygo, con cui ha girato l’Europa, ma è in questo 2017 che ha visto la svolta, diventando un vero e proprio feticcio di Tyler, The Creator, che se l’è portata con sé ovunque, dalla collaborazione in Flower Boy al Late Show di Stephen Colbert. Ma l’evento fondamentale per Anna è arrivato l’8 settembre: è uscito il suo disco d’esordio, Lovers, che è praticamente la sintesi del pop onesto, ascoltabile, mai patetico, che vorremmo sempre sentire. Non solo limitato all’ambito femminile ma in assoluto. L’album ha in sé una sonorità e singoli veramente di qualità, basti ascoltare Someone, finora il successo maggiore del progetto. Lovers è stato pubblicato agli sgoccioli dell’estate, quindi potrà assumere la funzione di intro per la nuova stagione musicale; un ottimo apripista, da non ignorare.

4) Ketama126 – Oh Madonna

Qua andiamo a vedere l’altra faccia di una medaglia, quella crew che abbiamo imparato a conoscere in tutta Italia con Carl Brave e Franco126, ovvero il collettivo romano CXXVI, di base rap/trap, ma come abbiamo visto coi suoi pupilli autori delle polaroid, ramificatosi anche in suoni nuovi, sperimentali, più pop, più indie. Ma oltre a Polaroid, dalla fucina Love Gang quest’estate è uscito anche un altro album, molto più cupo, ma sempre ricercatissimo e rimasto più fedele alla radice rap: si tratta di Oh Madonna di Ketama126, il volto più noir del gruppo trasteverino, grande lavoratore, in grado di cacciare fuori singoli e video a ritmi incessanti, e proprio molte delle produzioni pubblicate nell’ultimo anno sono confluite in questo disco. Oh Madonna quindi non ha una struttura interna forte, ma ciò che lo rende interessante è lo studio del suo autore, studio soprattutto della scena americana, prove di giochi retorici e esperimenti, come pezzi tipo Pantani e Lacoste, ritratti intimisti ambigui come Triste e Dolcevita, pezzi nei quali domina un lessico plumbeo d’ordine quasi ospedaliero e funerario. Quello di Ketama126 è un disco senza fronzoli, sfacciato, un po’ horror, un po’ thriller, frutto di grande lavoro e spiccata ricercatezza. Occhio!

5) Waxahatchee – Out In The Storm

Era il 14 luglio, a Parigi si festeggiava l’anniversario della Presa della Bastiglia, con la banda militare che interpretava i Daft Punk davanti a Trump e Macron. Poi c’era Katie Crutchfield che con i suoi Waxahatchee pubblicava il quarto album in studio, intitolato Out In The Storm e che dire: questo progetto indie qua in Italia l’abbiamo forse snobbato e dobbiamo fare ammenda, perché Out In The Storm è un discone, che recupera una specifica estetica e ne fa la propria maturità; ci si muove tra sonorità degli anni ’90, tra garage, grunge e indie rock, suoni ruvidi per raccontare rotture amorose ed affini sentimenti spinosi. In questo disco c’è sia delicatezza che grande potenza, una potenza tale che conferma la cantautrice dell’Alabama avere più cazzimma della stragrande maggioranza degli interpreti indie odierni.

6) Vince Staples – Big Fish Theory

Ad inizio estate, prima che arrivassero da Pyongyang, il missile più cazzuto l’ha tirato fuori Vince Staples, ovvero quel Big Fish Theory che vi abbiamo raccontato qui e che scommettiamo che non ve lo siate perso; in ogni caso, lo inseriamo in questa lista comunque, non tanto dunque per farlo riscoprire, ma per continuare a farlo vivere nel tempo.

7) Manchester Orchestra – A Black Mile To The Surface

La band di Andy Hull è tornata con il suo quinto album dopo tre anni dalla pubblicazione dell’ultimo LP intitolato COPE. Ma per Hull non c’è stato riposo, perché nel frattempo il frontman della band di Atlanta si è dato un gran daffare sul versante Hollywood, visto che ha scritto la sua prima colonna sonora per un film, Swiss Army Man di Daniel Scheinert e Daniel Kwan, con Daniel Radcliffe, presentato al Sundance 2016. Vuoi questa esperienza, vuoi che si cresce e si lasciano alle spalle le mollezze giovanili, fatto sta che il nuovo lavoro confezionato da Andy Hull coi suoi Manchester Orchestra risulta il più bel lavoro della band finora pubblicato. Perché? perché A Black Mile To The Surface è una solida costruzione, con delle solide fondamenta, lo si avverte dalla esattezza e la precisione delle produzioni, dalla pulizia della parte strumentale, degli arrangiamenti, e soprattutto dal comparto narrativo del disco, davvero notevole. Ogni canzone è una storia a sé, come testimonia anche il fatto che i titoli di dieci canzoni sulle undici totali inizino con l’articolo “The”, dunque tutto è conchiuso, tutto è consapevole nei disegni di questo album, anche se, ciononostante, si avvertirà sempre quella fragile e sensibile radiazione di fondo che proviene dalla componente emo della band. Tutto molto bello. A Black Mile To The Surface sarà un’ottima compagnia.

8) Grizzly Bear – Painted Ruins

Un album dei Grizzly Bear è sempre un piacere da gustarsi lentamente; da assaporare, da cui prendersi una pausa, anche lunga, e a cui tornare per riscoprirne sempre un nuovo angolo, suono, un intreccio che ci si era lasciati scappare all’ascolto precedente.

E niente, basta l’incipit della recensione che trovate per intero qui per comunicarvi che questo è un disco da lasciare in cima alle vostre preferenze anche per questi mesi che verranno.

9) XXXTentacion – 17

L’esordio discografico del personaggio più chiacchierato del momento, e che abbiamo provato a raccontare attraverso uno speciale dizionario. 17 è un brevissimo album ed è decisamente una proposta “invernale”, se non “infernale”, dato che la malinconia che contiene in sé può davvero traghettare l’ascoltatore verso lidi per-niente-felici, fatti di incubi inerenti alla depressione, all’ossessione e al loro risvolto irreversibile: il suicidio. Ma a prescindere dai suoi lati angoscianti, va affermato che questo disco è, sul piano della proposta musicale, veramente notevole, contiene in sé tutta l’imprevedibilità, la novità, e ahimé la tenebrosa poco lucida follia del suo giovanissimo autore, che ha virato verso sperimentazioni alternative rock, lasciando più da parte il marchio trap e aggressivo che lo aveva lanciato su SoundCloud dal 2014. Un disco che sarà protagonista nei prossimi mesi, anche perché, in ogni caso, da quest’autunno si riprenderà a parlare di X, visto che a ottobre inizia il processo che lo vede chiamato in causa per le violenze sulla fidanzata Geneva Ayala.

10) Everything Everything – A Fever Dream

Gli Everything Everything sono tornati in scena il 18 agosto con un disco eccezionale, che vi proponiamo su questa lista con un motivo ulteriore rispetto a quello che abbiamo proposto fin dall’inizio dell’articolo. Ebbene, vogliamo dirvi che A Fever Dream è un album fortemente connotato verso orizzonti politici e sociali; i 4 di Manchester hanno riempito con tanta carne al fuoco il contenuto del loro quarto LP, con una serie immensa di riferimenti, critiche velate e più esplicite, verso tanti eventi e atteggiamenti della contemporaneità che stiamo vivendo. Ce n’è per tutti: tanti ingredienti che generano isteria, ed attraverso il suono di questo disco gli E.E. vogliono infatti esternare un intimo isterismo, fatto di paradossi, anche sul piano del significante, con brani dolci che però sono farciti da parole gravi e viceversa, con la voce burlona di Jonathan Higgs, con giochi prog- e giochi electro, nebulizzati in una foschia di rock misto a pop. Insomma, A Fever Dream, è un isterico (ma paradossalmente lucido) ritratto di ciò che ci circonda, e dato che catturare l’attimo, se non si è un occhio meccanico, è umanamente impossibile, proponiamo di ascoltare e riascoltare nei mesi questo disco per valutare, col senno di poi, quanto il dagherrotipo di questi tempi proposto da Higgs e compagni sia esatto.