Questo disco mi ha fatto un effetto strano, durante l’ascolto saltavo e tamburellavo su ogni cosa dandomi lo slancio per raggiungere altre mete con le pareti di casa. Non ho rotto niente, ma la cosa mi ha quantomeno stupito.

Il disco si chiama Beams, quinto lavoro di Matthew Dear, un giovane texano da una decina d’anni sulla scena, anno più anno meno, e, omiodio, dire che è roba che puzza di anni 90 è poco.
Non che ne sappia poi granché di anni 90 io.
Ok ok, andiamo con ordine. Matthew Dear è, fino a prova contraria, un Dj texano, fa le basi, registra i suoni, suona le cose, e ci canta sopra, un po’ parlando, un po’ ammiccando a qualche nota, con una di quelle voci grosse, belle scandite, che ti dice una cosa e te la dice bene come ti aspetti di sentirla. Questo è quanto.
Poi abbiamo, in aggiunta, la cassa in quattro, che è quella, e solo quella, che ti fa saltare e tamburellare e fare bum bum cia cia. Tutto questo ricamato con tutti i sinth del mondo, o quasi tutti.
E devo dire, se posso permettermi, che fra tutti, ma proprio fra tutti, quello che mi è venuto più in mente è Beck, soprattutto in Guero, dove si avvicinava con garbo a quei ritmi hip pop garbatamente anni 90. E in effetti anche Dear ci ha un po’ di questo Hip Pop nelle vene, cosa che magari manco sa.
Altra cosa simpatica sono le chitarre, che ti trovi sparate in faccia quando meno te le aspetti, tutte anni 90 anche loro con quel che alla giovanotti sonici, giri semplici, medi a palla, e così via.
In sintesi è un bel disco, fatto bene, senza sbavature, una cosa che ti da tutte le certezze di cui hai bisogno limitandoti a leggere il retro copertina, un lavoro onesto sì.
Più che altro per il caro Dear, voglio dire, avevamo davvero bisogno di un ennesimo cd che ci ha stupito poco?
Boh, non so, forse sì.