Si è chiusa la 22esima edizione di Ypsigrock Festival e mentre torniamo nel mondo reale, un clandestino senso di malinconia si è fatto spazio dentro la valigia delle gite brevi, tra le magliettine sgualcite delle band ed un cruciverba incompleto. Una malinconia che già conosciamo, ma che ogni anno sa mimetizzarsi sempre più efficacemente, sorprendendoci sulla via del ritorno, alle spalle, come il fumo dell’Etna che arriva fino al cielo.

Le strade oggi sono molto diverse. Ci accolgono vuote e grigie; un pattern color cemento maculato e declinato in tutte le sfumature, a coprire i ritmi schizofrenici di città che ritroviamo controvoglia dopo i “4 giorni di Castelbuono“.

Sembra il titolo di un film. Una pellicola comfort che mettiamo alla bisogna perché ci piace l’effetto che fa. Ognuno di noi ne ha una e questa viene trasmessa annualmente. Ogni anno, però, questo trinacrio film imprime forze nuove e sempre più dirompenti nello spazio del cervello dedicato ai ricordi ed alle sensazioni, anche se la sua trama è nota ed il finale già svelato.

Nessun vicolo o case di mattoni e anche i panni stesi che penzolano dalle finestre sembrano diversi. A guardare fuori dalla finestra, mentre un breve temporale metropolitano s’infrange sui vetri, nei riflessi sembra di intravedere il palco di Piazza Castello e l’inconfondibile scritta Ypsigrock che domina le colline a ridosso del Parco delle Madonie.

Ed è in Piazza Castello che sono stati dati gli scossoni più imponenti di questa edizione del festival, mentre a poche decine di metri di distanza, cefaludesi e vacanzieri di ogni età mangiavano lupini o compravano palloncini di Spider Man ai figli, in un contesto da estate italiana che ogni volta tocca corde che impariamo a tenere ben nascoste quando diventiamo adulti.

pic by Roberto Bonomo

Come ogni anno, Piazza Castello è stata la location degli headliners, i quali – seppur nella loro diversità artistica – hanno saputo intrecciarsi e coesistere allo stesso modo della flora endemica che in questo paesino sconosciuto ai più, colora e profuma di un profumo variegato ed irresistibile gli stretti vicoli e la valle, fin giù verso il mare.

Il primo giorno abbiamo accolto gli Her mentre davano il benvenuto ad una platea crescente con il loro pop continentale da spot pubblicitario. Sulla scia popolare, la serata è stata contraddistinta dal pop mandorlato di Aurora, con la sua presenza scenica da artista consumata e, soprattutto, con le sue divagazioni elettroniche mai sopra le righe ed una voce incantevole che saprà molto presto collocarsi accanto a modelli come Florence & the Machine. Prima di lei, con meno raffinatezza ma con quattro/quarti 90s oriented ultra contagiosi, si sono esibiti i performers più pittoreschi di questo 2018, ovvero, i Confidence Man. Un duo (+2) che sa come prendere in ostaggio un palco e trasformarlo in un Calippo gusto cola-fizz da prendere, però, a piccole dosi. Ma è stata anche la serata dei The Horrors, che hanno chiuso il primo giorno con grandi classici e una buona dose del nuovo album. Un live inaugurato con la forza dei chitarroni dark e noise e via via addolcitosi con derive dance-elettroniche con il meglio che il loro repertorio possa offrire.

La seconda, invece, è stata la serata del cuore. La scena se la sono presa dapprima gli Algiers che hanno letteralmente tramortito il pubblico con toni distopico-apocalittici, ma al tempo stesso poetici. Attraverso manipolazioni e contaminazioni musicali di ogni sorta hanno portato sul palco quaranta minuti di rabbia e cultura musicale rarissima nel panorama indie moderno. Dopo di loro è toccato al fiore all’occhiello di questa edizione di Ypsigrock. Parliamo dei The Radio Dept., i quali – in formazione completa e con l’aggiunta di un quarto elemento –  hanno esplorato quindici anni di carriera, sorprendendo la loro folta e commossa fanbase italiana con pezzi raramente eseguiti dal vivo, che hanno provocato le lacrime copiose di chi li aspettava da più di dieci anni, mentre brandelli di cuore si disperdevano tra la folla. Da Lesser Matters all’ultimo album Running Out Of Love abbiamo assistito al condensato di dream pop e shoegaze scandinavo migliore al mondo.

La bellezza di un festival come Ypsigrock, dicevamo, è anche rappresentata dalla capacità di calibrare gusti e tendenze e di far coesistere creature solo apparentemente inavvicinabili. E difatti, dopo le emozioni della band svedese si è passati alla spensieratezza (certamente necessaria) di Youngr, elegante e danzereccio astro nascente d’ispirazione jacksoniana che ha fatto da filtro, chiudendo ed aprendo i Vessel. E qui una piccola digressione è d’obbligo (che poi più che una digressione si tratta di una sottospecie di tip per chi vuole cambiare prospettiva): allontanandosi poco prima della fine del live, in direzione Chiostro, una comoda e breve discesa porta ad un ingresso secondario del paese. Osservare da lì le luci del castello e sentire le melodie del quintetto inglese è stato qualcosa che, probabilmente, non si ripeterà in nessun altro luogo. Lo spettacolo vale sicuramente il sacrificio di non stare in mezzo alla folla per dieci minuti.

L’epilogo del festival è quello che tutti aspettavano: Jesus And Mary Chain chiaramente. Talmente attesi che anche due suore si sono fatte strada tra il pubblico. Il resto è un frullatone di bellezze e monumenti dark che vanno presi ed inseriti nei sussidiari e nei libri di epica locale. Prima di loro l’emo di Trail of Dead e tutta l’autorità degli Shame; questi ultimi capaci di esplodere nel giro di un anno con un post punk semplice – a tratti scolastico – ma autorevole e travolgente quanto basta per farli diventare la band più richiesta nei live di mezza Europa (anche loro, come Aurora si sono visti allo Sziget).

Piazza Castello, è solo una frammento di Ypsig. La particolarità di questo festival (riconosciuta ormai a livello internazionale) sta anche nelle altre due location adibite, in particolare, ai concerti giornalieri.

Parlarne da spettatori è facile, specialmente in una nazione dove tutto appare irrealizzabile. Sarebbe, infatti, un grave errore pensare che assistere alla meraviglia dei Blue Hawaii dentro l’ex Chiesa del Crocifisso, o allo spettacolo rudimentale di Sean Kuti (con Egypt 80), al soul di Ama Lou o, ancora, al post punk di Girls Names, nel Chiostro di San Francesco a ridosso dell’omonima chiesa (1312) sia un atto caduto dal cielo; normale, dovuto. Evidentemente non è così.

pic by Roberto Bonomo

Ypsigrock festival rappresenta il miglior esempio di come si debba e, di fatto, si riesca a dare concretezza ad un progetto che sia vincente ed allo stesso tempo originale, nel quale le espressioni “profitto” e “priorità” non sono sinonimi. Un festival considerato di nicchia (o, come si dice spesso, boutique) ma in grado di catalizzare la curiosità di insospettabili avventori e non solo degli affezionati, anche se ci troviamo lontani centinaia di chilometri dalle tipiche venue italiane. Perché per la direzione del festival il fine ultimo è quello di garantire peculiarità artistiche uniche, capaci di rinnovarsi annualmente, senza logiche compromissorie nella selezione degli artisti e, soprattutto, senza che il territorio soffra della sua presenza.

Ma Ypsigrock è il risultato anche della progettualità e della perseveranza. Frutto di notevole capacità di dialogare con le autorità locali con la testa più che con la pancia, portando negli uffici un plico di idee e scartoffie ben confezionate che descrivano un progetto artistico autentico e non un’accozzaglia di spot pubblicitari capaci solo di impoverire e snaturare quello che è, invece, un elegante e non artefatto unicum nel panorama mondiale.

Un film d’altri tempi o un precursore di quelli che verranno e che ogni anno sentiremo il bisogno di ri-guardare.