Premettendo che ciò che vado ad affermare potrebbe di me dipingere un’immagine estremamente antiquata, il pensiero che segue è necessario per avvicinarsi all’ascolto di questo artista: l’era digitale ha ucciso le chitarre, frantumato il calore del suono e della sua accoglienza, campionandolo in spezzoni preconfezionati da inserire, all’occorrenza, all’interno di tracce prodotte in serie, come nella catena di montaggio di Henry Ford.

Wrongonyou è un cantautore delicatamente folk, rappresentante di un genere ingiustamente accantonato dai giovanissimi perché di frequente -e in modo non del tutto corretto- associato alla musica popolare, ai canti della tradizione. Il folklore si riferisce sì alla cultura e alla storia di una civiltà, ma non ancorandosi in modo irreversibile al passato: è la trasposizione di quello che era verso quello che oggi è, l’esperienza che dà forma alla sostanza. Il folk non annoia, ma accompagna nel tempo, come un racconto tramandato dal sapore familiare.

I meriti di Marco Zitelli, nome di battesimo del musicista di Grottaferrata, si articolano nella capacità di infondere nella propria produzione quel cuore, quel senso di casa e naturalezza comparabili al rivedere un amico dopo tanto tempo, trovare la cena pronta dopo una giornata di lavoro, respirare l’aria del mare o ricevere un regalo la mattina di Natale. La voce di Wrongonyou è intrisa d’una intensità quasi spiritual, modulata sull’intimità del cantato e del tocco della chitarra che, tanto in versione acustica, quanto insieme alla band, fa calare il buio sull’ambiente circostante e brillare gli occhi come fessure di luce fra le foglie.

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Il live al Monk Club di Roma di Sabato 19 Novembre è particolarmente atteso, data l’occasione di presentazione del nuovo EP The Mountain Man, distribuito dalla Carosello Records: la copertina del disco ed il concept sono chiari e coerenti con l’identità sonora delineata sinora, 6 tracce (quattro delle quali già pubblicate nel corso del tempo), che rinviano alla natura non soltanto per la scelta lessicale adottata – The Lake, l’omonima The Mountain Man -,  ma per la spontaneità compositiva e d’esecuzione. Il lavoro di registrazione e la cura della produzione sono limpidi e privi di graffi, che non siano quelli della voce più autentica dell’artista sulle note di Oh Lord.

Emanuele Triglia e Francesco Aprili sono sapienti maestri di cerimonia sul palco, rispettivamente al basso e alla batteria, non riducibili ad autori di un semplice accompagnamento musicale, ma protagonisti di momenti d’ascolto a sé stanti, scandendo il ritmo e determinando l’atmosfera di ciascun brano della scaletta. C’è spazio, in oltre un’ora di live, per arricchire l’EP con qualche inedito, parte del nuovo album in corso di realizzazione a Los Angeles. Chiamati a partecipare sono anche alcuni ospiti a sorpresa: l’amico fraterno Roberto Angelini (di cui Zitelli rielabora il pezzo Cenere, intonato da Angelini, ma suonato da entrambi in chiave più roca ed incisa) e DAP, pseudonimo di Andrea D’Apolito, cantautore indipendente che ha affiancato la romana Livia Ferri nell’opening act.

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Accanto a noi c’è chi conosce le tracce a memoria, chi si commuove e sorride, chi canta a squarciagola (vi sorprenderebbe l’età matura di quest’ultimo personaggio): il feedback del pubblico è immediato e positivo, pieno di quel buono di cui, qualche paragrafo più in alto, abbiamo scritto. L’ultimo ad essere eseguito è il singolo di debutto Killer, la cui coda, a più riprese sintetizzata con il vocoder, porta in sala un silenzio che ricorda le prime esibizioni di Wrongonyou davanti a qualche decina di appassionati, già consapevoli del fatto che Marco, con la sua essenziale genuinità, avrebbe guadagnato sentieri luminosi.