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Azzano Decimo, provincia di Pordenone, Friuli Venezia Giulia, circa quindicimila anime, un paesino come tanti altri.

È quest’anonima cittadina, simile a tante altre, che dal 2000 ospita la rassegna Fiera della Musica, un progetto che in quindici anni ha portato nel nord-est italiano artisti del calibro di Pulp, Public Image Ltd, Moby, Gang Of Four, White Lies e molti altri. Ieri sera vi ha fatto tappa l’astronave degli Slowdive, per un concerto che rimarrà impresso nella memoria degli oltre mille partecipanti per anni e che, nonostante la sua breve durata (poco più di un’oretta), non ha deluso nessuno.

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L’area Palaverde, che ospita una tre giorni che continua con Verdena e Peter Hook And The Light, non è altro che il giardino di una scuola, ma cosa importa? Dopotutto lo scorso anno gli stessi Slowdive hanno suonato a Padova nel parcheggio dello stadio, e hanno dimostrato di poter alienare perfettamente la mente degli spettatori, portandoli lontano dal contesto in cui si trovano. Alle 20:30 però, puntualissimi, parte il live dei New Candys: veneziani, psichedelici, anglofoni, il classico gruppo che in un’ipotetica recensione etichetterei come “dal respiro internazionale” o “da esportazione”. Sicuramente debitori di band come Psychic Ills e Black Angels, se la cavano senza tentennamenti, dimostrando di essere già pronti per palchi importanti. Mezz’ora per loro, ma i presenti non sono sicuramente rimasti delusi.

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Dopo altri trenta minuti di cambio palco ecco arrivare il turno delle co-headliner della serata, le Savages, impegnate in un tour di pausa dalle registrazioni dell’atteso secondo album, ma già amatissime dopo il seminale Silence Yourself del 2013. A dispetto delle voci sul loro conto (irascibili, fredde, rompicoglioni, soprattutto la cantante Jehnny Beth) le quattro inglesi si sono rivelate decisamente allegre e sciolte, dialogando spesso con il pubblico e abbozzando anche qualche parola in italiano. “I love you Jehnny!” urla un ragazzo dalla prima fila, lei sorride e risponde “I love you too” prima di iniziare a muoversi come una novella Ian Curtis e a sciorinare una scaletta in bilico tra vecchi brani e pezzi inediti tutti da scoprire. Questi ultimi, almeno dal vivo, mostrano un lato decisamente più groovy rispetto a quelli del nervoso debutto, e ci fa ben sperare per un’evoluzione sonora importante, che non continui a rimestare nel solito post-punk grezzo. Menzioni speciali per City’s Full, Husbands (cantata in mezzo al pubblico) e la conclusiva Fuckers, introdotta da Jehnny con un “Non facciamoci inculare”, che le vale l’ovazione di tutto il pubblico. Un’ora perfettamente dosata tra momenti più quieti e esplosioni sonore in cui Fay Milton, Gemma Thompson e Ayse Hassan hanno picchiato come fabbri.

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Il momento più alto della serata lo si raggiunge però alle 23. Neil Halstead saltella nervoso dietro al palco, Rachel Goswell sta sulle sue, ogni membro degli Slowdive ha il suo modo di scaricare la tensione prima di salire on stage. Quando questo avviene il pubblico esplode, e da quel momento Rachel non smetterà più di sorridere. Manca il bassista Nick Chaplin, sostituito però da Kevin Hendrick dei Male Bonding, ma non è un problema: parte Slowdive e sono subito emozioni. Il venticello freddo che soffia negli ultimi giorni nei pressi di Pordenone è perfetto per chiudere gli occhi e immergersi nel viaggio che la band ha preparato per noi.

Dopo Avalyn Rachel imbraccia la chitarra e, accorgendosi dell’aria che tira – letteralmente – mormora un flebile “Catch The Breeze” per mandare il pubblico ancora più sulla luna. Il tempo è tiranno, e la breve scaletta (undici pezzi) sciorina una dopo l’altra perle come Crazy For You, Machine Gun Souvlaki Space Station, prima che When The Sun Hits provochi reazioni bizzarre nella folla quali 1) Headbanging; 2) Chiudere gli occhi e lasciarsi ondeggiare tra le prime file; 3) Sedersi e pensare a quanto cazzo è bello assistere a un concerto degli Slowdive nel 2015. La band non parla molto: Rachel si limita a sorridere, ringrazia ogni tanto e poco prima della fine annuncia timidamente Alison, mentre Neil presenta al pubblico il temporaneo nuovo bassista ed esclama sommessamente “I cut my finger”, prima di riprendere a suonare a testa bassa. Chiude Golden Hair (“One last song” annuncia Rachel), che ci fa tremare ancora un po’ tutti quanti e ci fa capire perché, vent’anni dopo, abbiamo ancora bisogno degli Slowdive, di Souvlaki, di un nuovo album e di questi meravigliosi esseri umani.

Mezzanotte e dieci, Azzano Decimo, Pordenone. Gli Slowdive scendono dal palco, il pubblico resta fermo, aspetta. Due minuti di silenzio e di speranza, poi parte la musica del dj set e tutti capiscono che il viaggio è finito, si torna sulla Terra, ma che bel viaggio è stato.

Potete leggere a questo link la nostra intervista agli Slowdive, mentre di seguito trovate la fotogallery del live: