Il Friuli Venezia Giulia è una regione che con i concerti ha da sempre un rapporto particolare: c’è stato un periodo in cui i nomi più grossi della musica facevano costantemente tappa tra Udine e Trieste (Bruce Springsteen, Coldplay, Metallica, Foo Fighters, Green Day, Pearl Jam, Iron Maiden e via così) mentre dall’altro lato è sempre stato difficile trovare proposte di qualità per quanto riguardava artisti indipendenti ed esterni ai circuiti dei grandi numeri.

L’eccezione che conferma la regola è da 11 anni Sexto ‘Nplugged, rassegna che si tiene a Sesto Al Reghena (PN) nella meravigliosa cornice di Piazza Castello, a fianco dell’abbazia risalente a ben prima dell’anno 1000.

Tra i nomi sfilati negli anni ricordiamo Michael Nyman, Anna Calvi, St. Vincent, Apparat, Local Natives e Of Monsters And Men, ma è il livello stesso della manifestazione che cresce di anno in anno.

L’edizione 2017 ha visto infatti alternarsi nel mese di luglio Mark Lanegan, Austra, Dillon, Air, Benjamin Clementine e Trentemøller.

Ad aprire questa edizione di Sexto ‘Nplugged è toccato niente meno che a Mark Lanegan.

Non starò qui a farvi un pippone sull’importanza di Lanegan nel rock indipendente, su quanto la sua voce sia particolarissima ed estremamente riconoscibile, su come sia riuscito a sopravvivere al grunge con gli Screaming Trees e ad evolvere costantemente la sua carriera solista: vi basti sapere che Mark Lanegan nel 2017 è ancora un concerto che merita di essere visto.

La scaletta prende a piene mani dalle ultime produzioni di Lanegan, con gli ultimi Blues Funeral, Phantom Radio e Gargoyle largamente rappresentati, mentre il resto lo fanno la voce, la presenza scenica (immobile come una statua e decisamente inquietante) e una band che si trova a memoria, e che asseconda le velleità electro-blues del frontman lungo i 20 brani eseguiti.

Come da tradizione, non mancano le cover: va bene Deepest Shade dei Twilight Singers, ma il botto arriva alla fine con la doppietta AtmosphereLove Will Tear Us Apart dei Joy Division, che ci consegna una performance perfetta e un tributo cristallino ad una delle grandi ispirazioni di Lanegan.

Mark Lanegan

Il secondo giorno tocca alla coppia Austra e Dillon.

Da bravo ignorante ammetto di essere arrivato al concerto completamente all’oscuro di ciò che mi avrebbe aspettato, tranne per la certezza che si sarebbe trattato di una serata completamente al femminile. Apre Dillon, che piazza 40 minuti di vocalizzi tragici e basi elettroniche spoglie: luci quasi spente e set up minimale, il pubblico la segue rapito anche quando inizia a protestare con il fonico, a sgridare chi teneva il tempo applaudendo e a ricominciare un brano dall’inizio.

Poi tocca agli Austra di Katie Stelmanis, direttamente dal Canada. Il loro set synthpop è decisamente più coinvolgente di chi li ha preceduti, e i brani del nuovo Future Politics scorrono perfettamente a fianco delle vecchie hit. Succede anche che riescano a far alzare il pubblico dalle sedie e a farlo ballare sottopalco, non appena si alzano i bpm, con i presenti rapiti dalla presenza scenica di Katie che si sgola, balla e sorride a tutti, probabilmente soddisfatta dell’effetto della sua musica.

In ogni caso brava: far muovere un friulano, farlo ballare soprattutto, non è mai una missione facile.

La terza serata arriva il 20 luglio e vede come ospiti gli Air, tornati sulle scene l’anno prima in tutti i grandi festival con il greatest hits Twentyears. Il pubblico è ancora una volta quello delle grandi occasioni e la band ne approfitta per sciorinare tutte i classici che li hanno resi grandi, da Playground Love a Kelly Watch The Stars, da Alone In Kyoto a Sexy Boy.

Non che il set sia perfetto anche per i profani della produzione degli Air: alla lunga la staticità dei musicisti e le atmosfere oniriche (che solo a fine concerto lasciano spazio per ballare davvero) possono annoiare, e siamo consapevoli che questa è una critica mossa a tutti i recenti live della band. I fan non saranno comunque rimasti delusi, e anche chi non li conosceva sono sicuro sia tornato a casa con dei nuovi pezzi preferiti per le proprie playlist.

Le ultime due serate vedono invece salire sul palco Benjamin Clementine e Trentemøller.

Il primo siamo purtroppo stati costretti a saltarlo, causa febbre improvvisa, quindi ci siamo fatti raccontare un po’ com’è andata. A discapito delle apparenze, pare che Clementine sia un intrattenitore nato, tanto da avere trasformato il concerto in una specie di cabaret musicale, con botta e risposta con il pubblico e tanta simpatia.

Poi c’è la musica, che lo ha visto prima esibirsi in una serie di estratti da I Tell A Fly, il nuovo album in uscita a settembre, e poi tirare fuori i grandi classici di At Least For Now, l’album che lo ha fatto conoscere al mondo.

Diverso il discorso per Trentemøller: eccoci presenti (e convalescenti) ma pronti al live che presenterà al pubblico di Sesto l’ultimo album Fixion, quello della svolta post-punk. Prima tocca però ai triestini TACDMY (si legge The Academy), giovani di belle speranze dal tiro decisamente internazionale, e che grazie ad un impianto luci incredibile e a dei brani che sembrano già pronti per i grandi palchi riescono a tenere alta la nostra attenzione fino all’arrivo di Anders Trentemøller.

Accompagnato dalla sua band (che comprende anche la cantante e chitarrista Marie Fisker, una sorta di Jehnny Beth), Trentemøller si lancia in un’ora e mezza di post-punk elettronico in cui capita facciano capolino vere e proprie bordate techno che hanno fatto ballare tutti i presenti (con grande rappresentanza di sloveni e croati), con Moan come ovvio highlight della serata.

Il concerto regge benissimo, così come la prova dal vivo del nuovo album, soprattutto grazie ad una sezione ritmica eccezionale, con basso e batteria che non si sono fermati un attimo.

E poi c’è lui, Trentemøller, che a differenza dei cliché sugli scandinavi non si rivela freddo e distante, ma si sbraccia, suda, incita il pubblico e lo cerca più volte, trasformando quello che poteva essere un live-compitino in uno spettacolo da ricordare.

Trentemøller

Finisce quindi così. Si chiude anche quest’anno il sipario su uno dei borghi più belli d’Italia, ospite di una delle rassegne più riuscite dell’estate musicale italiana, capace ogni anno di rinnovarsi e portare linfa nuova in una regione in cui i concerti di questo tipo sono rari come l’acqua nel deserto.

Il nostro augurio è che possa continuare ancora per tanto tempo.