Sampha è quel ragazzo che si emoziona sinceramente per i complimenti e ti sorride, simpatico, incredulo e un po’ impacciato di fronte alla gratitudine e agli applausi.
Sampha è quell’amico che quando ti parla abbassa gli occhi, ma che ti dice sempre le cose giuste.
Sampha è quell’artista che, con semplicità, ti arriva dritto in petto.

A colpire maggiormente sin da subito è quanto sia evidente che sul palco, davanti a noi, ci sia l’uomo e non uno degli ultimi, aleatori, fenomeni di hype. Lui ci tiene a ricordarlo ad ogni frase, parola, sillaba, respiro; sì perché sul microfono ci sono solo un delay cortissimo e un riverbero asciutto: non servono stratagemmi per dimostrare quanto sia autentica la voce sentita in The Process né tanto meno per comunicare direttamente con chi abbia voglia di ascoltarlo.Lo si capisce già da Plastic 100°C, opener del concerto arricchita da un’intro ambientale che accompagna l’ingresso in scena degli altri tre, ottimi, elementi della band. La scenografia è minimale, le luci rischiarano da dietro lasciando i quattro in penombra: è la musica a parlare mentre il clima si surriscalda.

Lo show trasuda, sempre, tanta realtà e tanto sentimento; ogni traccia si erge in punta di piedi grazie ad un ingombrante e al contempo leggero carico di onestà che puntualmente fa capolino, sia durante i pezzi più intimi e pacati sia durante le hit. Blood On Me e Timmy’s Prayer sono due piccole gemme che trainano il concerto, così come altri due centri immediati sono Incomplete Kisses e i suoi bassi abrasivi e Under con quel drop iniziale; Too Much e Happens, poi, sono dei cioccolatini inaspettati direttamente dal 7” del 2013. Kora Sings destabilizza nel suo crescendo percussivo che sfocia in feedback violenti tra filtri e risonanze, contraltare di una No One Knows Me Like The Piano toccante nel suo minimalismo più emotivo.
L’encore è un altro tuffo nel passato, ancora al 2013 e, più precisamente, all’EP Dual. La band ritorna in scena e si posiziona attorno alle percussioni dando vita a un ancestrale rito di iniziazione: le bacchette pestano e le pelli vibrano finché, dalle ceneri, rinasce Without. È Indecision, ancora una volta in solitaria, al pianoforte, a chiudere lo spettacolo tra i volti attoniti e le bocche spalancate del pubblico.

Il concerto di Sampha non vive di picchi allucinanti né tanto meno di momenti eclatanti che facciano gridare al miracolo. Di fronte a queste premesse ognuno reagisce in maniera diversa: c’è chi talvolta balla, chi rimane impietrito di fronte alle abilità canore del Nostro e alla sua voce fuori dal comune, chi cerca di immortalare i momenti con le fotocamere, chi manda audio agli amici meno fortunati, chi si annoia.
Il tutto è, comunque, un evento quasi intimo e come tale va vissuto. Sul palco non c’è la volontà di travolgere e trainare, di ribaltare schemi, di reinventare. Sul palco c’è solo tanta voglia di raccontare se stessi, le proprie esperienze e il proprio vissuto utilizzando la musica come mezzo, con genuinità.

Che stia ballando o che sia al pianoforte ad occhi chiusi, che stia cantando o che stia ringraziando il pubblico, Sampha è sempre fedele a se stesso, è sempre rimasto il giovane che, con umiltà, suonava il pianoforte a casa della mamma. Di nuovo, a colpire è quanto ai nostri occhi appaia tutto infinitamente vero e naturale, senza filtri, un’esperienza artistica sincera ed appassionante.
È proprio qui, nella pura naturalezza, nella semplicità, che risiede la forza vincente di questo ragazzo.