Sono stati giorni come pochi ce n’erano stati per l’hip hop in Italia: in meno di una settimana, Milano ha ospitato per la prima volta nella storia Eminem, tra San Siro e lo Stadio Olimpico di Roma Jay Z e Beyoncé hanno portato il loro mondiale OTR II Tour, e poi c’è stato Rock in Roma, che per una data unica ha invitato per la prima volta nel paese Post Malone.

Quella del 10 luglio è stata una giornata ricca all’Ippodromo delle Capannelle, con due spettacoli ad aprire la pista per il rapper di Syracuse. Il primo, iniziato verso le 21.00, è stato più che altro importante per il suo contenuto simbolico: sale sul palco la Dark Polo Gang ed è avvenuto un passaggio di testimone tra l’eredità artistica del compianto regista Carlo Vanzina e loro. Il piccolo show della DPG, monco sia di Sick Luke che ormai definitivamente di Side, è stato infatti un po’ effetto cinepanettone, nel quale anziché rumori sconci di Enzo Salvi si alternano “Hey Hey, Oh Oh” e “Al mio tre urlate eskere” nel tessuto della canzone sparata dalle casse. Impacciatissimi sul palco, i tre hanno comunque fatto surriscaldare il parterre, pieno in fin dei conti di piskelletti dark o presunti tali, emozionati nel sentire la storia scendere in campo con le prime note di Pesi sul collo.

Mentre poi il Belgio provava gli ultimi assalti contro la Francia, sale sul palco una grande rivelazione della serata. Le luci si oscurano e entra nella scena SAINt JHN, rapper di Brooklyn che ha preso alla sprovvista molti dei presenti perché non tutti erano al corrente degli orari della scaletta. E quindi c’è stato molto scetticismo all’inizio nei suoi confronti, ma subito spazzato via e convertito in pura adorazione. Con il suo carisma e una presenza scenica mostruosa, SAINt JHN ha conquistato in pochi minuti tutto Capannelle: alle sue spalle c’era nei monitor un visual ipnotico, e sul palco c’era lui che valorizzava in maniera eccelsa i pezzi scelti del suo album di debutto Collection One. Lo show è durato poco meno di mezz’ora, ma è certo che il rapper di Brooklyn si è conquistato tanti fan quanti erano presenti al concerto.

Verso le 22.40 parte il main event. Un’entrata biblica per lui, Post Malone, che fa ingresso in una scena sul palco completamente vuota. C’è solo lui, una chitarra elettrica appoggiata sul cavalletto e una acustica, e l’asta del microfono. Non c’è niente e nessun altro. E si capisce bene perché. Perché effettivamente Posty non ha bisogno di nient’altro se non della sua presenza e la sua voce. Una voce pazzesca, che seppur nella serata romana era parecchio rovinata, è riuscita comunque a riecheggiare come un proiettile. Ruvido, sporco, con una magliettona grigia fin da subito sudatissima; pantaloni larghi con alle ginocchia toppe con i colori della bandiera dell’Italia. E poi tante birre (portate dal leggendario Danny) e tante sigarette (sigarette?). E tutto qua, sottraendo dal palco tutto tranne se stesso, Post Malone fa scuola di cosa significa essere una rockstar nel 2018.

Si può permettere una scaletta che infila l’una dopo l’altra una hit universale e una mondiale, estratte dai suoi due album all’attivo Stoney e il recente beerbongs & bentleys. Crea subito una simbiosi incredibile col pubblico (e diciamolo, c’era un gran bel pubblico!) e quindi si lascia andare un po’ sbronzo a chiacchierate, divertenti siparietti, fino alla birra insieme con Giuseppe, ragazzo del pubblico chiamato sul palco a suonare Stay in acustica creando un momento davvero davvero magico (molto probabilmente preparato, ma pazienza, nulla toglie al risultato)*. Quindi la chitarra acustica è stata usata sia come detto da l’eroe della serata Giuseppe, ma anche ovviamente da lui, Posty, che ha eseguito Feeling Whitney seduto su uno sgabello, facendo sentire a tutti cosa è capace di fare la sua musica e la sua voce (benché un po’ svociata, ma forse motivo che ha reso più unica l’esecuzione) e in generale la sua arte pure senza beat mostruoso sotto.

C’è un’energia estrema infatti nelle canzoni di Post Malone, che riesce a emanare ancora di più in quella situazione alquanto insolita di tenere completamente da solo il palco. Di beerbongs & bentleys le super hit sono state ovviamente acclamate e ben eseguite, ma hanno fatto una figura eccezionale invece altre proposte, su tutte Over Now, la quale, forse, è stata l’esibizione più intensa del concerto. Neanche a dirlo, poi, I Fall Apart e Go Flex hanno ormai i contorni di un inno, mentre il saluto con Congratulations è stato un argomento a parte, l’apice davvero della serata, che il protagonista ha saputo valorizzare al massimo, introducendola con un discorso motivazionale e un bellissimo “You can do all the fuck you want”.

Ma che ne è stato dell’unico altro strumento sul palco, la chitarra elettrica? Ecco, qua veniamo a un nodo cruciale. Praticamente è stata appoggiata al cavalletto tutta la serata, fino a che, al termine di Rockstar, è stata presa da Post Malone ed è stata spaccata per terra, poi ci ha versato un po’ di birra sopra. La chitarra spaccata non fa più effetto dai tempi della Ziqqurat e la scrittura cuneiforme, eppure Post Malone ha ridato al gesto un senso nuovo, sviluppato. Insomma, l’unico strumento sul palco visibile per tutto il concerto è una chitarra elettrica, simbolica, mai usata, ed è stata lì solo per essere fracassata al termine di una canzone che enuncia tutti i motivi (e stili di vita) per cui chi la canta si sente una rockstar. Una mossa che sa di parodia, ma la parodia può avvenire solo in virtù della piena consapevolezza che si ha del modello. Post Malone neanche lo saprà che in Italia ce n’è pieno, ma sembra un gesto rivolto a tutti quelli che possono dire (e che hanno detto) “ma che c’entra Post Malone con un festival che ha nel nome la parola rock”?

La risposta può stare racchiusa anche solo in quel gesto, ma in realtà sta anche in tanti altri dettagli: uno fra tutti è che Post Malone è, come le migliori band della storia, meglio dal vivo che in cuffietta. E finalmente possiamo dirlo anche noi dall’Italia, e non era per niente scontato, visto che, come detto, solo tre giorni prima Eminem è venuto per la prima volta dopo vent’anni a trovarci.

La reazione che il pubblico di Rock in Roma ha offerto alla data di Post Malone è che c’è voglia e soprattutto buona volontà di ammirare dal vivo le rockstar del futuro, e, in quanto a rockstar 2.0, Post Malone ha dimostrato di essere tra i numeri uno.

*[Ci è stato precisato proprio da lui, Giuseppe, che niente era organizzato: aveva con sé un cartello con scritto “Can I play Stay?“, e Post Malone ha semplicemente risposto sì. Rincariamo la dose di applausi.]