Assistere a un live di PJ Harvey è già una cosa bellissima la prima volta, la seconda volta poi è stravolgente, si è consapevoli in che mondo si sta per entrare e le emozioni sono incontenibili. Vidi Polly live la prima volta a giugno di quest’anno durante il Primavera Sound Festival e fu una delle cose più belle di quella giornata; Lunedì 24 Ottobre invece sono stata  all’Obihall di Firenze per la sua seconda data italiana, la prima è stata a Milano la sera precedente, organizzate da DNA Concerti, per il tour di The Hope Six Demolition Projectun album meraviglioso.

Il live è cominciato con un quarto d’ora di ritardo, giusto il tempo di riempire il teatro, nessuna scenografia particolare, a decorare il palco la numerosa strumentazione della band. Il pubblico, eccitato, riuniva le più diverse generazioni: i più adulti – probabilmente anche gli stessi che la sentirono la prima volta nel 1995 proprio lì al “Teatro Tenda” quando aprì il concerto a Ben Harper & The Innocent Criminals -, coppie stupende che mi ricordavano tanto i miei genitori quando non si perdevano nemmeno un concerto, bambini piccolissimi sulle spalle dei papà, signore over 45-50 dall’abbigliamento rockeggiante e l’energia di adolescenti, trentenni in lunghi cappotti neri e cappelli a falda larga e poi noi, probabilmente i più giovani, venticinquenni.

Finalmente ha inizio lo spettacolo e come da copione, i dieci musicisti (nove più Polly Jean) entrano marciando sul palco in un trionfo di fiati e percussioni, disponendosi pian piano alle loro postazioni fino all’attacco di Chain Of Keys e finalmente la scopriamo, PJ Harvey vestita e svestita di nero a risaltare la sua pelle candida e il color oro del suo sassofono, con le sue amate piume fra i capelli.

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E così ha inizio uno spettacolo sublime, tra le grida – mai isteriche – dei fan. Lei su quel palco, tra tutti quegli uomini musicalmente eccezionali, è una regina. Continua il nostro viaggio, tra quelli di PJ Harvey, ogni brano del nuovo album trova posto in scaletta e Polly ce li “racconta” con una classe infinita, senza mai scomporsi e con una voce così potente che a tratti fa quasi scoppiare il cuore. Non ci parla mai, ma questo non delude, perché scambia la sua anima con ognuno di noi un pezzettino alla volta, canzone dopo canzone. Un’ora e mezza di concerto che vola via non annoiando mai, tra gli assoli dei suoi musicisti che anche Polly insieme a noi osserva emozionata con solenne rispetto e tra i  momenti più rock in cui la nuova PJ Harvey lascia spazio alla vecchia con i brani 50ft Queenie, Down By The Water, To Bring You My Love uno dietro l’altro, fino ad arrivare al termine con River Anacostia e alle presentazioni, ed è quello il momento in cui orgogliosa la sentiamo gridare: “Questa è la mia band”, e con lei sul palco anche gli italiani Enrico Gabrielli e Alessandro Stefana.

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Dopo i bis Working For The Man e Is This Desire, PJ Harvey e i suoi nove musicisti in fila ringraziano, come una compagnia teatrale che ha appena dato al pubblico uno spettacolo straordinario. La prima sensazione che ho avuto è stata quella di volerlo sentire subito un’altra volta, tutto da capo e immediatamente, sono uscita stordita e emozionata, ho comprato il vinile di The Hope Six Demolition Project che ancora non avevo e che ascolterò senza interruzione per i prossimi tre giorni.

Dura, fragile e imperdibile Pj Harvey, è stato bellissimo.