10247265_624783697598016_6529393272442240599_n
Daniel Lopatin
, in arte Oneohtrix Point Never, è un genio.
Principale fautore della digital reinnasance insieme a The Haxan Cloak e Tim Hecker, con i suoi lavori trascende i limiti tradizionali della forma-canzone non solo distruggendone la struttura, ma anche superandone i cardini armonici e ritmici. Per Lopatin il tempo non è mai quattro quarti, cinque ottavi, andate o allegretto. Come solo un vero visionario riesce a fare, la nozione tradizionale non viene proprio presa in considerazione, e noi, spaesati ed entusiasti ascoltatori, potremmo dire con sognante ignoranza che nei brani (per quanto possa avere senso parlare di “brani”) di Oneohtrix Point Never il tempo sta fuori dalla composizione, ed è uno solo: il futuro. Bene, dopo aver rilasciato il favoloso  R Plus Sevene prima delle tre date italiane, il buon Daniel approda al Club To Club di Istanbul, al quale siamo andati per voi.

Dopo qualche difficoltà riesco a raggiungere la Venue, il Salon IKSV, che, come la letteratura suggerisce debbano essere gli ingressi dei mondi paralleli (come è per Narnia o il Paese delle Meraviglie), si cela dietro all’anonimo portone di un elegante palazzo in zona Istiklal, che da fuori sembra essere un Hotel molto più che un club notturno. Entrato, realizzo con sorpresa che la venue è minuscola; una piccola sala dall’acustica perfetta con capienza non superiore alle 200 persone. Sorseggiando una birra offerta da uno degli sponsor del festival (notifico ai lettori che in Turchia, paese in prevalenza musulmano, trovare alcolici è abbastanza difficile e sempre costosissimo, per cui avere una birra omaggio appena entrati in un club di Istanbul, suona, facendo la dovuta proporzione, come avere un pista di cocaina e una donna nuda omaggio in un locale di Milano o Londra), aspetto assieme ai pochi e grazie ad Allah silenziosi avventori, l’inizio del concerto.
Appena
Daniel sale sul palco la platea ammutolisce, e parte poco prima della musica un visual malatissimo, composto da immagini in loop mixate in sequenze generate da un algoritmo.

Poi il sig. Lopatin attacca. Avete presente Dante in Paradiso, quando, in divina contemplazione, non riesce a descrivere ciò che ha davanti agli occhi, ma lo assimila alla cosa terrena più vicina alla visione celeste che si schiude davanti ai suoi occhi (la Figa n.d.r.)? Ecco, così io.
Il live set di Daniel è così avvolgente, preciso e capace da lasciare senza parole. I pezzi sono eseguiti alla perfezione, e, ancora meglio che con l’ascolto su disco, evocano un immaginario che è sì futurista, ma sembra anche venire dal passato, e non dal passato storico che conosciamo, ma da un tempo così antico da non essere iscritto nella memoria collettiva umana.
Forte e sicuro della sua efficacia Daniel porta avanti il set per quasi due ore, e, con la presunzione che solo i geni come lui si possono permettere, zittisce con un secco “shut the fuck up” quei pochi che fra il pubblico stavano parlando durante l’esecuzione, disturbando i voluti momenti di silenzio che alternavano i lunghi medley. Dopo aver eseguito quasi tutti i brani dell’album e chiuso con Boring Angel, Daniel Lopatin esce di scena senza concedere bis, lasciano il pubblico soddisfatto e allibito, come reduce di una seduta sciamanica tenuta da un software super evoluto.

Finito lo show esco nelle strade di Istanbul, già di loro pervase da un’atmosfera che definire suggestiva è un eufemismo, rincoglionito e felice come nella migliore delle sbronze, con in corpo solo una birretta.
Vi do un consiglio: andate a vederlo alle date italiane, credetemi.

1554402_624783600931359_7181577305946362721_n

1507190_624783634264689_7011350994658028942_n