olafur

 

Un pianoforte, quattro archi, un apparecchio molto simile ad un sintetizzatore. Centinaia di posti a sedere nel parterre. Siamo all’ex Macello di Padova e quello a cui stiamo per assistere non è il solito concerto che vi aspettereste nella location di via Cornaro. È il sabato di Ólafur Arnalds. Ormai ex astro nascente della musica islandese, sempre più una certezza della scena modern classical, è diventato uno degli esponenti di maggior spicco del genere. I suoi suoni incantano mezzo mondo da qualche anno e il contratto con una major del calibro della Mercury Classics, con cui ha pubblicato il suo ultimo album, For Now I Am Winter, è stato il definitivo salto di qualità, entrando nel gotha della musica neoclassica.

Varcando il cancello e prendendo posto, è facile notare come il pubblico sia assolutamente eterogeneo; la fascia di età va dai 20 ai 50 anni. Si passa dagli indi più sfegatati, ai padri di famiglia con mogli al seguito, a chi vive 24/7 in un “mondo tutto suo”, ai classici infiltrati con maglioncino viola e pantaloni bianchi.

Alle 22 esatte si spengono le luci. Ólafur sale sul palco assieme ai cinque fidati compagni di tour. Con la timidezza che (fortunatamente) non lo abbandonerà mai, saluta il pubblico e si siede al piano.

Silenzio assordante. Inizia una magnifica apnea lunga un’ora e mezza.

Dopo aver campionato la voce della platea, il compositore islandese inizia con il suo inconfondibile climax di piano e archi. L’unico dispiacere riguarda l’assenza in questo periodo del tour di Arnor Dan, voce di Old Skin tra le altre, privandoci così dei primi brani “cantati” live. Tomorrorw’s Song ci porta subito lontano con la mente. La temperatura è frizzante, perfetta per l’occasione. Alle 22.10 anche la luna viene coperta dalle nuvole. Saranno i sei sul palco a dover illuminare la serata. In scaletta si alternano brani già noti ai conoscitori del nativo della piccola Mosfellsbær con quelli del nuovo album. Viene naturale notare il contrasto tra le tracce pre e post For Now I Am Winter, in cui è più marcato l’utilizzo di synth e loop, fondamentali per dare ritmo, creando un meraviglioso connubio tra strumenti e modulazioni computerizzate, più fredde e distaccate, quasi a voler metaforicamente portare i gelidi venti del nord Europa in tutto il mondo. Only The Winds primeggia su tutte, con quel malinconico violino che farebbe scendere brividi lungo la schiena a chiunque. La pioggia inizia a cadere leggera e al di là di qualche sporadica fuga sotto gli alberi, il pubblico rimane composto, assecondando le goccioline di acqua, immaginando che a posarsi sul proprio corpo siano le delicate dita di Ólafur, alle prese con uno dei suoi abbacinanti pezzi. Ogni nota del piano toglie un po’ di fiato, ogni corda pizzicata degli archi è da pelle d’oca. Il pubblico è completamente rapito, ipnotizzato dai silenzi sfiorati, dalle magnifiche sospensioni sonore in cui trattenere il respiro e guardare a mondi lontani.

Il gran finale è affidato ad un cielo stellato e a due pezzi da novanta del repertorio, Poland e Ljósið. È un crescendo di emozioni, di intimi pensieri; ogni angolo della cute viene scosso e vengono accarezzate le più nascoste corde emotive. L’encore è affidato ad un sigolo pezzo, Lag Fyrir Ömmu, scritto in ricordo della nonna a cui l’artista islandese era molto affezionato. Solo lui e il piano. L’emozione è tanta e non è certo un’ambulanza in sottofondo a rovinare un momento così carico di percezioni extrasensoriali. Gli archi, lasciati dietro al palco, accompagnano con rara delicatezza le ultime note suonate da Ólafur, finchè il giovane compositore non si spegne, abbracciando il suo amato pianoforte.

Al termine del concerto una standing ovation più che meritata. Un’eseperienza da fare almeno una volta nella vita. “Da ascoltare con gli occhi chiusi”, la gente lo dice sempre quando c’è Ólafur Arnalds sul palco e non è certo un caso. Così come non è un caso che la luna sia tornata a risplendere proprio dopo l’ultima nota suonata. Quando tornerà in Italia non lasciatevelo scappare e sarete magici anche voi per una notte.