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Uno dei ritorni più apprezzati nella scena musicale di quest’anno è stato senza dubbio quello dei Nine Inch Nails, capitanati dal poliedrico Trent Reznor, che dopo la pausa annunciata nel 2009 dopo The Slip, il progetto strappamutande con la moglie How To Destroy Angels, l’oscar per la soundtrack di The Social Network e la soundtrack di The Girl with a Dragon Tattoo, il tutto insieme ad Atticuss Ross, rimette insieme la baracca che lo ha reso celebre portando in questo 2013 un nuovo album  e un nuovo tour mondiale che mercoledì 28 agosto li ha portati anche al Forum di Assago a Milano, accompagnati dai Tomahawk.

La formazione, quest’anno, vede, oltre ai veterani Robin Finck e il bolognese Alessandro Cortini, Josh Eustis prelevato dal duo elettronico Telefon Tel-Aviv al basso e Ilan Rubin alla batteria, che nonostante abbia militato in gruppi come Paramore e Lostprophets dimostrerà di pestare come un fabbro e di essere un eccellente polistrumentista (violoncello, piano).

L’affluenza è molta, e nonostante sia mercoledì, hanno dovuto aprire una parte del terzo anello.

Molti sanno già cosa aspettarsi; la band ha suonato al Fuji Rock Festival e il Reading Festival pochi giorni prima e tutti e 2 i live sono sono stati resi disponibili interamente su youtube.

Si inizia. Le luci rimangono accese, e un Trent Reznor che pare ne sappia di steroidi e push up (le flessioni, non il reggiseno) come ne sa di sintetizzatori sale sul palco da solo, inizia a smanettare creando un breve intro per Copy of A, secondo estratto del loro ultimo album Hesitation Marks, dove mano a mano cominciano ad entrare gli altri membri del gruppo ognuno con il suo congegno infernale in grado di far vibrare casse toraciche e far muovere la testa.

Si torna al primo album che odora di nostalgia con Sanctified per poi tornare di nuovo al 2013 con Came Back Haunted, primo singolo estratto del nuovo album, secondo dei tre assaggi (Verrà suonata a metà Find My Way) dedicati al nuovo lavoro, il resto, è dedicato ai brani più celebri del passato della band con qualche piccola chicca, come I’m Afraid of Americans di Bowie o un pezzo (con Ilan Rubin al violoncello e Trent al piano) della colonna sonora di The Girl with a Dragon Tattoo che spezzano la violenza sonora, e visiva, del loro live.

Perchè è anche questo che ha reso il concerto qualcosa di incredibile: l’aspetto visivo.

In questi 13 minuti, si può vedere come la band abbia studiato in maniera quasi maniacale l’aspetto visivo sul palco, caratterizzato da dei pannelli che venivano spostati costantemente, interagendo con i membri della band e con i visual da essi proiettati.

Tecnologie sicuramente all’avanguardia e inusuali come su Closer, per esempio, dove vediamo delle particelle rosse ricreare in tempo reale il faccione che canta di Trent Reznor attraverso una tecnologia molto simile a quella usata per il Leap Motion.

25 brani suonati uno in fila all’altro, senza respiro, con riarrangiamenti magnifici da March of the Pigs, a Wish, a Survivalism, ad Head Like a Hole per far capire che i 48 anni ci sono, ma non si fanno sentire, 2 ore spaccate, fino ad arrivare all’ultima ,strappalacrime, Hurt.

Quello che si può dire è che sebbene il prezzo del biglietto non sia stato alla portata di tutti 40 euro + dp (dp sta ad abbreviare la bestemmia che tiri quando vedi quanti sono effettivamente questi diritti di prevendita) Trent Reznor e compagni hanno saputo, senza sbagliare una virgola, ricreare un’atmosfera perfetta, studiata in maniera certosina e che lascia dentro qualcosa nel tempo (The Knife vi prego prendete appunti) elevando il concerto a una nuova dimensione che non sia quella del “riprodurre semplicemente le tracce dell’album” come ormai, fin troppo spesso, siamo abituati a sentire e  vedere.