Alcune anime nascono per brillare. È la più semplice equazione del successo, la dote di rischiarare un ambiente, un volto assorto in un pensiero, naturalmente tracciando una scia di luce che, come occhi rivolti a una cometa, fa esplodere stupore.

Masego, in lingua africana, significa “benedizione”: è il nome che Micah Davis ha selezionato con cura per dare buon auspicio ad un futuro scintillante, alle ambizioni artistiche coltivate sin dal primo approccio a sassofono e tastiere. Polistrumentista, è un viso giovane ma, al contempo, talentuosamente maturo: dagli studi universitari direziona il proprio cammino verso l’amore per la musica, visceralmente influenzato dalle proprie origini e dalla permanenza della sua famiglia in Virginia, culla della cultura bluegrass, blues e jazz (un nome su tutti a renderne il merito, Ella Fitzgerald).

Sboccia al panorama internazionale collezionando milioni di visualizzazioni online, e sino a questo punto non differirebbe molto da un numero X di altri interpreti emergenti di più recente generazione, decollati sul web grazie ad una numerosissima fanbase. L’accento Masego sa porlo per carattere, padrone di un fascino che fa dei suoi appena venticinque anni un performer appassionato e fluido come i suoi ritmi.

Il pubblico ad attenderlo per la sua unica data italiana in Santeria, a Milano, è folto e variegato, internazionale, e include anche alcuni nomi dell’hip hop nostrano (Ghali e Ghemon, tra gli altri). Masego rappresenta il trait d’union più interessante sulla scena fra trap, jazz e soul, come lui stesso ama definirsi, fiore all’occhiello di uno schieramento di nuove leve capaci di fondere il calore di un sound di altri tempi con i trend figli dell’era digitale – v. Jorja Smith, Brent Faiyaz, GoldLink. Il concerto raggiunge il sold out, supportato da una collettività trasversale che mescola cultori del genere, estimatori di rap e nu-jazz ed amanti della qualità, incarnata nello show di una giovane promessa che nell’arco di due anni è diventata una conferma.

L’opening act è affidato ad un astro nascente dell’R’n’B italiano: Ainè, romano e fresco di pubblicazione del proprio album di debutto Generation One. Non affiancato da una band, ma da un Dj alla consolle, introduce i presenti a quella che diverrà una festa, alternando in trenta minuti beat nu-soul e melodici. Santoro ha un anno in più di Masego, si muove nell’ambiente da tempo equivalente ed è forte di una voce bellissima, meritevole di aver contribuito a suscitare rinnovata curiosità sul genere; chiude la sua esibizione, probabilmente più favorita se fosse stato accompagnato da musicisti in carne e ossa e non da basi registrate, dedicandola al recentemente scomparso Mac Miller, intonando sulla base di uno dei suoi successi parole emozionate.

Il team Masego si spiega sul palco dando le spalle a visual calligrafici dal sapore anni Settanta: due coriste, basso, chitarra, tastiere e batteria scaldano la platea prima dell’ingresso dell’eroe che sta bramando. Davis calca lo stage in un’esplosione di entusiasmo, suonando il sassofono sulle prime note di Tadow ed avviando una conversazione con il pubblico come fossero amici da una vita. Introduce la sua band con affetto, ricordando un giovane Cab Calloway che annovera fra i suoi idoli personali assieme ad Andrè 3000 (non a caso e a più riprese, nel corso del live, gioca con i fan riprendendo il refrain di Minnie The Moocher).

Vestito di seta, non abbandona mai gli occhiali da sole e si unisce alla folla ballando le tracce del suo primo disco Lady Lady, in quella che da una sala concerti brevemente si trasforma in una sauna di corpi euforici e sfrenati. Campiona il beat della Señorita di Justin Timberlake, proiettandola dieci anni in avanti e tingendola di sharp trap: in un’ora ininterrotta di groove, smooth jazz, sensualità black e giamaicana – come le sue radici, Masego segna una notte da assoluto fuoriclasse. Sulle orme di Anderson Paak, è un entertainer magico che si fa largo guadagnando i riflettori per calore, carisma, forma e contenuto. Lo immagino a settant’anni vestire splendidamente uno smoking color panna, come il Calloway sorridente della pellicola The Blues Brothers: anima jazz e centro del palco, a tramandare gli ori di un’epoca di generazione in generazione.