I Lust For Youth si sono presi Milano. E non è la prima volta. Già nell’ottobre 2014 la città è stata letteralmente travolta da un’anomala onda coldwave, algida soltanto nei synth. Sempre nella stessa location, il Circolo Ohibò, e sempre con una sfacciataggine pari solo alla qualità del prodotto. Con la differenza che in questa seconda occasione la band (ed il pubblico) hanno dimostrato una nuova consapevolezza, che rinnega fermamente il trend del momento e le facilonerie del tipo: l’album dell’anno.

Non c’è stato, infatti, l’hype di quella volta lì, né si è voluto dare un volto diverso ad una band che fa della coerenza il coefficiente numero uno sul quale moltiplicare qualità e presenza scenica. Ma pur senza fattori oggi ritenuti determinanti per la buona riuscita dei live, che ingiustamente (spesso) sovrastano quelli artistici, ci siamo ri-tuffati di testa in questa onda, che ad anni di distanza ci è sembrata ancora più imponente.

Il fumo denso si è sparso per tutta la sala a coprire volti ed ogni velleità da Instagram storyteller, ma non l’enorme bandiera con il logo (LFY) che ha campeggiato dall’inizio alla fine. E mi smentiscano le divinità del mare se a qualcuno di noi tra le prime file non è venuto in mente di prenderla e brandirla come in curva. E l’occasione c’è stata. Più di una a dire il vero.

C’è stata già durante i primi istanti di Lungomare che – come pronosticabile – ha aperto le danze e che è riapparsa qua e là durante le rarissime pause del live, camuffata da nuovi pad e riverberi. Incontenibili desideri molesti che hanno accompagnato anche i momenti topici di tutto lo show, in perfetto equilibrio tra le novità di Compassion e International, tra cassa dritta e darkwave.

In particolare, l’eco di International è ancora assordante e nella lunga nottata di sabato ha riaperto dei traumi che per un triennio sono stati contenuti a fatica. Contro ogni legge della fisica, che da millenni impone alla forza di diminuire di intensità in ragione dello scorrere del tempo, i giri immortali di (ex multis) New Boys e Epoetin Alfa, hanno rimbombato come in un momento di pura singolarità. Fino ad Armida, quando la palla è passata a Soho Rezanejad che ha lasciato le macchine per prendersi tutta la scena, con quella bellezza di ghiaccio, inquisitoria come il processo di Norimberga ed il timbro raro. E da lì in avanti le buone maniere hanno fatto spazio al tifo più sfegatato tra lacrime e ricordi; tra irrefrenabile euforia, fumogeni e luci al neon imbizzarrite, che nemmeno al derby di Belgrado, mentre la Sehnsucht si è nascosta sotto i colpi della cassa dritta dei tardo Pet Shop Boys.

Ma i Lust For Youth sono anche la teatresca metamorfosi di Hannes Norrvide, che passa da cauto ragazzo taciturno al banchetto del merchandising ad autentico antieroe. Mai altezzoso, ma spavaldo quanto basta, ha reso le sue movenze e l’atteggiamento da schiaffi uno dei punti forti del progetto, in grado di avvicinare più che di allontanare; in grado ribaltare regole e di dare alla performance un tocco personale solo apparentemente fuori contesto. Col passare delle canzoni sveste i panni della distanza e con un magliettino da marinaio si avvicina al suo pubblico che un po’ vorrebbe menargli e un po’ abbracciarlo. Nel caso di specie, la seconda opzione ha prevalso nettamente al punto che per un attimo si è anche calato sottopalco, tra vecchi fanatici di una scena alternativa che sembra non appartenere più alle dissertazioni serie sui concerti.

C’è una singolare connessione tra i Hannes Norrvide e l’Italia, che risale già dalla fase pre-Lust For Youth e che si è manifestata nuovamente in una serata che è stata l’ennesima sorpresa. Una connessione prima di tutto estetica, fatta di iconografia a là Versace mescolata al razionalismo scandinavo; né pacchiana, né cafona; lineare, ma ugualmente unica, che sa anche appoggiarsi sul lato buono degli stereotipi italiani; su tutti il calcio, le sue visioni e la sua poesia.

Ed in mezzo a questo miscuglio casual retrò è nata la sua fan base, fatta di irriducibili romantici che resistono alle tentazioni della fashion week e dei suoi obbligati happening per tornare da quel vecchio amico del mare che vedono ad ogni estate e che fa sempre le stesse battute, ma – perdiana! – più che battute sono affreschi scolpiti nella roccia da guardare e riguardare. E allora con lo sguardo rivolto al palco e le braccia tese cerchi di acchiappare quanto più si può di questa atmosfera. Fino alla prossima vacanza.