Prima occhiata dentro ai Magazzini Generali: l’età media non supera i venticinque anni, il pubblico mi ricorda – sarà il look, sarà l’età, sarà l’attitude – quello incontrato qualche mese fa al concerto di Mac DeMarco. E che sò ragazzi si vede subito: appena il tempo di ingranare con i primi pezzi –  Has This Hit? e una ciondolante Ceiling direttamente da 6 Feet Beneath The Moon – che già con A Lizard State inizia un inaspettato pogo che fa un po’ concerto degli Ska P, ma non ci scomponiamo. Nel mezzo menzione speciale per Dum Surfer che – complici le luci acide e le sempiterne macchine del fumo dei Magazzini – ci trasporta direttamente dentro alle atmosfere creepy del video di Brother Willis.

Archy Marshall non è – com’era prevedibile – quello che si dice un intrattenitore nato: sbiascica giusto qualche didascalico “this is a song about love”, “this is a song about healthcare”, due “grazie” striminziti – che comunque è sempre meglio del sentirsi chiedere ogni cinque minuti “Are you ok?”. Andatura traballante da Pete Doherty, chitarra a penzoloni, il ventitreenne si sfoga e si aggrappa al microfono come un moderno Joe Strummer, anche se tutti i paragoni lasciano un po’ il tempo che trovano: se su disco rimaneva un’ipotesi, dal live lo sentiamo forte e chiaro che alla fine la potenza di King Krule sta tutta qui, nel fatto che il tutto è maggiore della somma delle sue parti.

Al di là di un set che scorre senza intoppi, pescando a piene mani da 6 Feet Beneath The Moon (Baby Blue, Out Getting Ribs) e dall’ultimo The OOZ (Midnight 01 (Deep Sea Diver), The Locomotive, Half Man Half Shark, The OOZ, Emergency Blimp), fino alla sessione di karaoke del pubblico su Easy Easy – il live mi ha convinta soprattutto di una cosa: King Krule (1994) – ma potrei dire Tyler The Creator (1991) così come anche Mac DeMarco (1990) – hanno, ognuno a suo modo, colto lo zeitgeist. Un’identità (un brand) e un’immagine riconoscibilissime – soprattutto nella testa del pubblico – mani in pasta in decine di progetti extracurriculari, testi che sono delle sedute di autoanalisi: King Krule incarna perfettamente che cosa significa essere giovane (e artista) oggi.

I’m never fully content

I wish it worked and went well for once

Archy Marshall si rivolge a sé stesso e a noi, a disagio nella nostra pelle e in questo tempo strano, mentre se ne sta lì piegato sul microfono. Perché stasera, come urla qualcuno dal pubblico, “siamo tutti rossi”.