Battezzato su più fronti come l’equivalente italiano dello Sziget, l’Home Festival di Treviso ha visto chiudersi il sipario della nona edizione, superando anche questa volta le 80mila presenze in 4 giorni. Numeri importanti per un festival italiano, che per una volta non punta sull’indie più duro e puro, ma relega quella fetta di pubblico ad un solo giorno (il primo, con Alt-J, Django Django, Wombats e White Lies) e inizia a spaziare su più fronti: c’è la giornata nostalgica e dal sapore decisamente RUOCK (The Prodigy, Incubus, la reunion dei Prozac+), quella tamarro-trap per i regazzini con gli occhiali da sole (Afrojack, Carl Brave x Franco126, la Dark Polo Gang) e la domenica a misura di famiglia, più democristiana nelle scelte e decisamente ammiccante a quello che va per la maggiore adesso (Caparezza, Francesca Michielin, Lo Stato Sociale, trap adatta solo a minori di 14 anni e così via).

Fare un report delle cose belle e brutte dell’intero festival, magari dividendole giorno per giorno, sarebbe lungo e anche un po’ noioso, ammettiamolo. Meglio due bei listoni che ben riassumeranno l’intero festivalone, nei suoi pregi e nei suoi difetti musicali. 10 esibizioni ottime e 4 che meh, sarebbe stato meglio di no. E poi una carrellata di foto, che quelle non fanno mai male. In attesa della prossima, doppia edizione, che si terrà a giugno e luglio 2019 sia a Treviso che a Venezia.

TOP

Alt-J: okay, leviamoci subito il dente. L’unico mio precedente live con gli Alt-J risale al 2015, quando al Primavera Sound Joe Newman stonò praticamente tutto lo stonabile, rovinandomi pezzi che fino a quel momento consideravo intoccabili. Pure recuperando dei video online l’impressione era sempre la stessa: non ce la fa poverino, è troppo per lui. E invece eccolo arrivare all’Home Festival con i due compagni di merende a farmi ricredere: lo show è solido, la voce pure, il gioco di luce ipnotizzante, e pure i brani nuovi – che su disco non funzionano – trovano nuova dignità dal vivo. In una parola: rinati.

Cosmo: non lo scopriamo certo oggi. Cosmo, al momento, è forse il migliore live italiano che possiate trovare in giro. Tutto lo show Cosmotronic viene condensato in un’ora (ampiamente sforata) in cui c’è tutto: chi canta, chi balla, il pop, la techno, il crowd-surfing e la volontà di vivere ogni concerto come fosse l’ultimo. Semplicemente di un altro livello.

The Wombats: la vera sorpresa del festival sono loro. Zitti zitti salgono sul palco e riportano indietro le lancette a un tempo in cui i concerti erano solo pogo, sudore e cantare a squarciagola. I vecchi singoli funzionano ancora da dio, i nuovi (Cheetah Tongue, Lemon To A Knife Fight) gasano, il pubblico risponde presente. È proprio vero che indie è per sempre.

Motta: come Cosmo, anche lui non lo scopriamo oggi. Lo show di Motta è preciso, potente e fa cantare come matti. Un’altra grande conferma di questa musica indipendente che è riuscita a compiere il grande salto: è pronto per il main stage.

Coma Cose: Fausto Lama e California salgono sul palco e spaccano tutto. La loro proposta musicale unisce sapientemente pop e rap, e il pubblico è altrettanto variegato: canta tutte le parole con un’energia nuova, contribuendo in maniera decisiva ad uno show devastante. Anche loro ormai in rampa di lancio e pronti per il grande salto: manca solo l’album.

Incubus: momento lacrimuccia d’obbligo. Quando senti partire gli accordi di Wish You Were Here non capisci più nulla. Tolta la nostalgia, il live è precisissimo e il pubblico risponde presente, la scaletta è praticamente il migliore dei greatest hits. Tutto molto bello.

Belize: con mille possibili distrazioni in agguato (la pioggia in arrivo, un pubblico distratto composto per la maggior parte da curiosi, un palco piccolo e infelice) i Belize portano a casa la pagnotta in scioltezza. Merito dei brani di un album che migliora ad ogni ascolto e di un suono tra i più freschi ora in Italia. Bravi e basta.

Generic Animal: palco minuscolo anche per lui, che si alterna tra microfono e chitarra per pezzi da entrambi i suoi dischi del 2018. Personalmente meglio in versione debutto, ma ci sono stati momenti (SCARPE #1) che mi hanno fatto venire i brividi pure con l’autotune a palla.

Carl Brave x Franco126: loro invece l’autotune lo tirano un po’ meno, soprattutto grazie ad una band fantastica che migliora moltissimo l’esperienza live. Carlo e Franchino ormai su palchi del genere ci navigano, e lo show dell’Home Festival è l’ennesimo plebiscito per una proposta (Brave solista incluso) che ormai ha messo radici ben solide.

Prozac+: non potevano mancare. L’ultimo concerto in assoluto della band pordenonese è tutto quello che un fan poteva desiderare. Un’ora tiratissima che ripesca tutti i classici della band, un singalong che dura l’intero concerto, una macchina del tempo che ci ha catapultati negli anni 90. Semplicemente una reunion necessaria.

FLOP

Afrojack: farò finta che non si tratti di una questione puramente personale nei confronti di tutta questa roba alla Tomorrowland, ma quando un dj set suona esattamente come un’oretta di playlist brutte del pop elettronico più becero in circolazione attualmente… beh, anche no, grazie.

Mr Rain: chi è? Non lo so. Ma è stato traumatico. E non parlo delle canzoni. E non parlo delle stonature continue o dei siparietti imbarazzanti. O forse sì dai, mi sembra abbastanza.

White Lies: forse prigionieri di un palco troppo grande per loro, i White Lies tornano in Italia ingessati, nonostante un pubblico adorante. Presentano nuovo materiale (che suona esattamente come quello vecchio), passano in rassegna i vecchi classici, eppure la sensazione finale è che si siano limitati al compitino.

Dark Polo Gang: come sparare sulla croce rossa. Non puniamo tanto il concerto in sé quanto l’annuncio finale “Sta per uscire il nuovo album, è una bomba” e poi attaccano Sportswear. No grazie, ci siamo già passati. Poi sul finale ecco la trollata definitiva, che mi fa pensare ne sappiano molto più di me su ogni cosa, una sorta di meta-trollaggio che diventa consapevolezza del male che stanno causando al mondo: “Triplo sette su ogni cosa, la gang non si infama… STUDIATE“. Sipario.

Tutte le foto sono © Sebastiano Orgnacco