Che la fruizione di un concerto dipenda da vari fattori – musicali e non – è cosa risaputa, ma chi conosce e segue i Godspeed You! Black Emperor sa che i loro live non sono per deboli di cuore, non per adolescenti danzerecci, non per i coretti da stadio. Un live dei GY!BE è a tutti gli effetti un’esperienza, quasi mistica, che coinvolge i sensi e le viscere; un lento, crescente, inesorabile pugno allo stomaco e una graduale discesa nell’abisso, qualche sprazzo di luce e una lenta risalita in superficie. Questa era la struttura ideata per Asunder, Sweet and Other Distress, ultimo lavoro portato nel tour che nei giorni scorsi ha fatto tappa a Trezzo sull’Adda e Bologna, ma è anche un po’ la struttura di tutte le loro performance, compresa proprio quella dell’11 aprile all’Estragon.

L’atmosfera all’Estragon è tranquilla, la fila non troppo lunga, il pubblico rilassato: l’assenza di ragazzini deliranti è un po’ una caratteristica dei concerti post-rock, ed è un piacere (poi, per fortuna, nessuno può urlarti tutto il testo delle canzoni nelle orecchie, che è sempre una nevrosi in meno). Persino la presenza della violinista Sophie Trudeau al banchetto del merchandising è un buon segno. Il religioso e rispettoso silenzio, poi, è il non plus ultra.

 

Carla Bozulich

Carla Bozulich

Ad aprire il concerto con pochi fasti è Carla Bozulich, veterana di band come The Geraldine Fibbers e Evangelista, ma che – ahimè – non conoscevo. L’effetto sorpresa però è piacevole: l’esibizione si apre in modo più che minimale, con un brano a cappella che gradualmente si fa accompagnare da un crescendo di muri di suono; il live è breve ma intenso, e a fare da protagonista è la voce imponente della statunitense, la quale ospita sul palco prima Mauro Pezzente e Tim Herzog – rispettivamente bassista e batterista dei GY!BE – e poi, per chiudere, il violoncellista Francesco Guerri, con un pezzo cupo che la Bozulich ci chiede di dedicare alla persona seduta accanto a noi sui mezzi pubblici.

 

Godspeed You! Black Emperor

Godspeed You! Black Emperor

Finalmente è il momento dei Godspeed You! Black Emperor. Tipica disposizione sul palco da jam session in garage – Efrim Menuck nascosto dietro ad una cassa, David Bryant seduto con le spalle al pubblico – e illuminazione minima che lascia spazio alle proiezioni, e si comincia. Si comincia con l’immancabile Hope Drone, che apre il concerto di Bologna come aveva aperto quello del Primavera Sound di Barcellona lo scorso anno. Segue il primo di due inediti pazzeschi, purtroppo troncato da un blackout di qualche secondo – ma ripreso senza troppi drammi. L’inedito #1 parte con suoni più cupi e si evolve con un crescendo di chitarre che accompagnano gli archi, ed è seguito dall’unico vero pezzo ‘vecchio’, Mladic. Il momento più alto, però, sono i venti minuti dell’inedito #2: un capolavoro epico, di più ampio respiro, che nella seconda parte dà spazio al violino sognante di Sophie Trudeau, al quale si aggiungono percussioni soffocanti, a mo’ di marcia, e un riff che ricorda The Sad Mafioso (un brano che, ammettiamolo, un po’ tutti avremmo voluto sentire).

Il secondo inedito chiude la prima parte del live, forse la più potente perché la meno prevedibile: la seconda parte è dedicata tutta ad Asunder, Sweet and Other Distress, che viene suonato nella sua interezza e per questo motivo acquista ancora più senso dal vivo: Peasantry or ‘Light! Inside of Light!’ è adrenalinica, il drone dei due pezzi centrali si fa tridimensionale, e poi Piss Crowns Are Trebled, perfetta per chiudere l’album e perfetta per chiudere un concerto che reinventa il concetto stesso di concerto: è partecipazione, è coinvolgimento di sensi e sensazioni, è sinestesia.

Tutto nei Godspeed You!Black Emperor ha senso, e nulla è lasciato al caso: la disposizione, le luci, le proiezioni in loop tra l’onirico e l’infernale come due facce della stessa medaglia; loro stessi superano il concetto di band e diventano un complesso – in tutti sensi, probabilmente – e quando parliamo di esperienza e di tridimensionale parliamo proprio del superamento del concetto di performance, che non è più vista e ascoltata ma diventa vissuta, provata, e quindi irrazionale. Tutto ha senso perché tutto è minuziosamente studiato per essere vissuto così, nella sua pienezza, e con la consapevolezza che i GY!BE sono una delle migliori band che mai avremo occasione di vedere su un palco.