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Sabato 18 aprile, Teatro Franco Parenti, DWF10 targato elita. Una parola (o meglio due) per riassumere tutto ciò: hip hop.
I nomi in cartellone promettono bene, benissmo: dal rap made in Italy del caro Mecna, in ascesa grazie al suo ultimo e apprezzatissmo Laska, passando per gli americani Shabazz Palaces e il loro hiphop sperimentale, art-, alt-, noise, chiamatelo come volete, che con il loro Lese Majesty ci hanno fatto godere e non poco, chiudendo il tutto con Dj Premier. Sì avete letto bene, quel Dj Premier, quello degli anni 90, metà dei Gang Starr, Preemo (o Primo) per gli amici, quello che ha prodotto, tra gli altri, Jay-Z, Biggie, Nas, Mos Def.

Dopo qualche intoppo all’ingresso (“ma ti chiami Deer Waves?”, “Ma sei Red Bull?” ?!?!?) si riesce ad entrare e si respira già aria di presa bene. Ragazzi che fanno breakdance, adulti che fanno breakdance, bambini di 8 anni che fanno breakdance, maglie larghe e cappellini, felpe di vecchie glorie hiphop.
Alle 21 precise si aprono le porte del teatro e le ragazzine corrono e si ammazzano per accaparrarsi i posti migliori. Sul palco ci sono già Iamseife e Alessandro Cianci con gli attrezzi del mestiere, appena il tempo di posizionarsi e attacca subito Intro, Mecna sale sul palco e la serata inizia per davvero. Si prosegue e ovviamente a farla da padrone sono i pezzi di Laska: da Pace alla “simpatica” (come la definisce Corrado) Faresti con me, e poi Taxi seguita da Non dovrei essere qui, e Favole bella super-carica di autotune. Per 31/08 sale sul palco la guest star Yakamoto Kotzuga (che si era occupato della base proprio di questo pezzo) e cade anche qualche fiocco di neve. C’è posto poi per una strumentale di Iamseife e due perle d’annata: Nessun altro e Fatto così che chiude la serata.
Mecna tiene bene il palco, si muove, spende qualche parola con il pubblico, racconta di quella volta che è entrato in un locale e una tipa gli ha detto voglio fottere te e Drake ma lì c’era solo lui, ringrazia, se ne va. Il pubblico ha apprezzato.

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È tempo di smontare cavi e cavetti e di portare onstage bonghi, controller midi, pedali per i loop, ma soprattutto tovaglie dai colori e dalle trame etniche: Shabazz Palaces. I due confezionano un set tiratissimo, senza soste né interruzioni, giusto il tempo di dire “we are Shabazz Palaces”, “questi cansoni zi chiami #CAKE”, e “thank you Milan”. Si susseguono senza soluzione di continuità principalmente i pezzoni di Lese Majesty: la già nominata #CAKE, They Come In Gold, Forerunner Foray, Motion Sickness, ma anche estratti dal precedente Black Up, tra cui spiccano sicuramente An Echo From The Hosts That Profess Infinitum e Youlogy.
Ishmael Butler sfoggia una maglia con frange e perline, rappa sicurissimo sulle basi, manda in loop la propria voce creando pad tanto suggestivi quanto angoscianti, con una mano tesse i beat sulla drum machine, con l’altra o regge il microfono o si toglie/mette gli occhiali da sole. Il suo compare Tendai “Baba” Maraire, oltre ad essere il sosia ufficiale di Will.i.am, si destreggia tra pazzi assoli di bonghi, percussioni varie, strumenti che non so nominare, e dimostra di aver ereditato qualcosa da suo padre Dumisani, maestro della mbira.
Il duo, oltre a non sgarrare di una virgola, si diverte, interagisce, segue i beat con minimali e divertenti coreografie, talvolta preparate, talvolta improvvisate tra highfive e giravolte. Il pubblico milanese dal canto suo è un po’ impreparato, non so quanti dei presenti conoscessero a fondo il gruppo e quanti fossero disposti ad un ascolto attento; molti nelle prime file sicuramente sì, perché cantavano i pezzi a memoria, ma in fondo la situazione era ben diversa: c’era gente che parlava e che lasciava gli Shabazz a mero sottofondo, gente che si spazientiva per la mancanza di un ritornello coinvolgente, molti altri invece pensavano solo a una cosa: Dj Premier. Assolutamente non scusabili e fuori luogo, invece, i cori di alcuni incivili che hanno iniziato a urlare “merde”, “vaffanculo”, “andatevene”, totalmente a caso.
Gli Shabazz Palaces non possono funzionare per tutti, ne sono consapevole, ma chi doveva goderne, ne ha goduto.

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E alla fine è arrivato il momento tanto atteso, quello che mai uno si aspetterebbe: vedere un’icona dell’hiphop, un baluardo dell’oldschool, calcare il palco, proprio davanti ai propri occhi. Se qualche apparente problema tecnico ne ritarda l’ingresso, il pubblico non si perde d’animo e anzi incita il proprio beniamino con cori quali “Preemo, Preemo, Preemo” o “Gang Starr, Gang Starr”. Parte un campionamento orchestrale, uno e più vocali. Ladies and gentlemen…… DJ PREMIER.
Il primo beat è sinonimo di delirio. Mi guardo attorno, guardo giù dalla balconata, non riesco a raccontarvi a parole il fomento dei presenti in un teatro ormai stipato in ogni angolo. Il Franco Parenti diventa improvvisamente il sottoscala di un locale dell’east coast anni 90. Preemo incita al microfono con frasi tutto sommato scontate, ma che suonano come verità rivelata: “when i say hip you say hop”, “make some motherfucking noise”, “put your fucking hands up”. Dicesse di urlare la lista della spesa sarebbe comunque magia.
I pezzi sono quelli dell’old school duro e puro, quelli contaminati di jazz e funk, di fiati e 909, campionamenti di James Brown; ho visto cinquantenni muovere la testa a tempo e livelli di presa bene inarrivabile.
Ma è quando parte il loop di Full Clip che si raggiunge l’apice, “Big L rest in peace”. La musica però si ferma, un Dj Premier affannato parla, “It’s already April 19th, this is the day my brother Guru died (l’altra metà dei Gang Starr, l’mc che lo ha accompagnato stabilmente per 20 anni, ndr), and I want to celebrate him with you, Milan”. Non ci si crede. “We are going to celebrate Big L and Guru together, right hand like an L for Big L, left hand with one finger pointed to the sky for Guru. When I scratch and you hear Big L, you scream Guru”. Cose da raccontare ai posteri.

Cosa ancor più bella però è stata constatare che c’è ancora tanta, tantissima gente con l’urgenza di condividere una passione viscerale per una cultura, e non solo poser che hanno scoperto Kendrick Lamar lo scorso anno.
Il live report si chiude qui, perché davvero penso non ci sia bisogno di aggiungere altro.

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