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Avevo già avuto l’onore di vedere Dave Harrington calcare il palco dei Magazzini Generali di Milano con Nicholas Jaar, quando giunsero sul suolo nazionale per portare live lo spettacolo di Psychic, il primo e, ahimè, unico disco del loro progetto congiunto Darkside.
Venerdì 16 settembre è invece la prima nella Penisola per Dave Harrington solista, o meglio, per il Dave Harrington Group, alla Santeria Social Club di Milano all’interno della rassegna meneghina Linecheck.

Una batteria, qualche sintetizzatore e qualche macchina e, defilata sulla sinistra e non centrale, la postazione di Dave con chitarra ed effetti vari: questo è quanto serve ai quattro musicisti per donare vita a Become Alive, lavoro uscito recentemente per Other People (etichetta di Jaar, appunto). Per il pubblico, invece, sono state preparate delle sedie che anticipano in parte le sonorità e il mood dello spettacolo che sarebbe iniziato di lì a poco.

Il gruppo suona (e suona bene per davvero) amalgamato e ben rodato, il feeling tra i fraseggi di synth e le percussioni tendenti al freejazz è palpabile e sostenuto in ogni momento dalla chitarra di Dave, collante del tutto.
Si sente il trascorso nei Darkside, sicuramente, ma si sente ancor di più la personalità di Harrington nelle composizioni, dilatate come piccole suite, che sondano un ampio ventaglio di generi e sfumature sonore. Si va dai pezzi definibili più tipicamente postrock per suoni e struttura (intro-sviluppo-fintoclimax-sviluppo-climax-outro) a quelli infarciti da tecnicismi più ricercati in melodia e timbrica (con la controindicazione di tastiere personalmente un po’ troppo vicine al prog, e che dunque rischiano di stonare nella visione d’insieme). La batteria sa farsi ora forza trainante coi fusti, ora leggero sussurro di piatti; la cassa dritta dei Darkside, comunque, non si palesa mai perché era prerogativa di Jaar.
Dave, dal canto suo, spazia da accordi aperti ad assoli passando per atmosfere ambientali, infiniti giochi di loop e incastri noise, ma senza mai eccedere né prevaricare gli altri componenti della band, come un deus ex machina silenzioso e di grande esperienza che dirige dei brani molto più simili a jam session che a canzoni nel senso più classico del termine.

È sul finale però che Harrington decide di mostrare agli avventori il motivo per cui il progetto d’insieme porta comunque il suo nome. L’artista torna sul palco da solo, accompagnato dalla sola chitarra, riacquista la sua posizione e inizia. I polpastrelli corrono sapienti sulla tastiera, i piedi destano e addormentano la loop station a comando; ne scaturisce una composizione di rara bellezza che zittisce anche i chiacchiericci al bar e strega tutti i presenti, chiudendo la serata.
Fuori ha anche smesso di piovere.

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