Si è aperto alla Santeria Social Club di Milano l’Infedele tour di Colapesce. Una prima data che rappresenta un’eccezione rispetto al lungo viaggio che lo terrà occupato in tutta Italia, poiché l’unica a non essere ambientata in un teatro. L’eccezione però è stata soltanto parziale. Quella andata in scena è stata ugualmente una rappresentazione teatrale, musicata ed interpretata dall’autore siciliano e dalla sua band, il cui epilogo – in parte prevedibile – è riuscito a non sbiadire nel ripetitivo. Al contrario, canzone dopo canzone ha mantenuto vivi i colori caldi dello stupore e della sorpresa. Una trama densa di contenuti e di simboli, ma al tempo stesso di immediata lettura nelle sue forme espressive.

Il primo atto si è aperto con Pantalica, la più folkloristica del repertorio. Un’ode alle sue origini ed una fotografia ai luoghi del silenzio e della sicurezza nei quali rifugiarsi col pensiero. E folkloristico è stato anche il suo ingresso sulla scena. In questo tempio della milanesità trasformato in chiesa, con uno pseudo rosone proiettato sullo sfondo e profumo d’incenso, lui, Colapesce, entra vestito (letteralmente) da pesce spada, mentre la band in tenuta talare accenna la svolta elettronica di Infedele. Una ouverture che ha scardinato le nostre aspettative e che ha confermato che dietro quel broncio mediterraneo ci siano molti più messaggi di quelli comunicati esplicitamente.

A seguire altri brani del nuovo album, Ti Attraverso, Vasco da Gama e Totale prima di una parentesi obbligata con alcuni grandi classici: Satellite, Reale ed Egomostro. In particolare con Satellite, l’autore siciliano ha sfondato la “quarta parete” permettendo al suo pubblico di interagire, accompagnadolo nei ritornelli romantici ma disillusi. Ci si avvia così alla fine del primo atto, con Maometto a Milano ed una cover – eseguita in solitudine sul palco – di Segnali di Vita di Battiato, durante la quale l’attore principale è completamente nudo (questa volta non letteralmente) davanti alla platea. Sempre più vicino, come a cercare un contatto e a raccontarci parte della sua origine artistica da autore esule. Buio.

Sulla scia dei ricordi, il secondo atto si è aperto con uno scontro fra onde: forze opposte che si attraggono e si respingono, amori persi e amori ritrovati. Prima Decadenza e Panna, dramma d’amore autobiografico rivissuto con indosso le maschere sorridenti delle emoticon di Whatsapp e poi Sottocoperta, quest’ultima eseguita anche sonorizzando e soffiando dentro una bottiglia di vino, perché in questa una rappresentazione semplice ed autentica come il cinema di Gondry, ogni gesto è un simbolo ed ogni suono non può che provenire dal mare.

Tutto fino a qui è filato liscio, ma come ci raccontano i proverbi marinareschi, la calma della superficie del mare è solo apparente. Dopo questa prima parte intervallata da momenti più poetici che drammatici, si è ritornati a Infedele ed alla sua parte più elettronica, ma solo per il tempo di Compleanno e per mostrarci un giacchino molto ganzo con un fulmine illuminato sulla schiena. Ormai ci si è avviati al gran finale con la ballata Sospesi e con Restiamo in Casa (forse la migliore canzone di tutta la sua discografia), durante la quale anche i più compassati hanno sentito degli strani movimenti provenire dalle parti più nascoste del cuore e dell’anima. Sensazioni empiriche che sfuggono ai dati della scienza e ai dogmi della religione. Ed in questo trambusto di organi che si mescolano, un foglio di carta è stato sacrificato sull’altare.

Il concerto si è concluso con Maledetti Italiani e S’illumina e con un lungo inchino degli attori-autori davanti al pubblico plaudente, completamente rapito da questo caos creativo rudimentale ma dal sapore autentico, come un pranzo da Vito o un pomeriggio nei santuari scavati nelle ripide pareti della roccia a picco sul fiume Anapo.

In questo rituale, dalla prima all’ultima canzone, come durante una messa, le porte chiuse hanno fatto da isolante rispetto al mondo esterno e concentrato l’attenzione su questa figura cupa ed introversa  – a tratti commossa – che ha dato a tutti una lezione di musica indipendente, ma non modaiola; di musica popolare, ma non per questo artefatta.

Senza volerlo, ma ben consapevole delle proprie doti di autore, Colapesce ha indirettamente catechizzato sui valori dell’autenticità artistica e dimostrato che si può ancora essere attraenti pur non indossando l’abito posticcio della musica sponsorizzata.