Non so, sarà forse tutto questo scrollare la home di Facebook e di Instagram e vedere l’inondazione di foto-testimonianza, ma mi sento di poter affermare che, molto probabilmente, anche molti dei vostri amici avranno trascorso il weekend al Primavera Sound Festival.

Vi giuro che qualcuno, comunque, è rimasto a casa, ed è riuscito a sopravvivere. Io sono tra questi, dico davvero, ho una certificazione attendibile. E vi giuro anche che la musica, nel resto del mondo, non si è fermata. Ne è una testimonianza la serata alla Salumeria della Musica di Milano con Angel Olsen (che a onor del vero, e per dovere di cronaca, è comunque volata a suonare al Primavera il giorno dopo).

Entrando nel locale pieno fino al sold out è comunque lecito chiedersi se ci troviamo ancora a Milano o se siamo stati teletrasportati sulla Barceloneta coi nostri amici di cui sopra: il clima è torrido, i gradi percepiti circa 94, una situazione che due condizionatori e tre ventilatori non riescono neanche lontanamente a mitigare. Tra un boccheggio e un’asciugata di fronte, sale sul palco la band, di bianco vestita, seguita pochi istanti dopo da Angel, in total black, che prima sorride e poi attacca, facendo capire subito a tutti perché sarà cosa buona e giusta sopportare le avversità climatiche per godersi il concerto.

Nel live c’è l’attesa, c’è la costruzione di un qualcosa, canzone dopo canzone. I cinque componenti che seguono la cantautrice americana non sono mai mero contorno, bensì un ensemble preciso che collabora alla riuscita dello spettacolo. Le melodie si fanno strada piano piano nell’ottimo impianto del locale, si dilatano rispetto a quanto siamo stati abituati sentire su disco; su di esse irrompe puntualissima Angel, con la sua chitarra, distorta, satura, graffiante. Superfluo ormai sottolineare come l’aspetto amorevole della Nostra, tra sorrisi sinceri e baci lanciati al pubblico, nasconda un animo musicale che sa aggredire tutte le sofferenze, le difficoltà. La musica non è palliativo ma reazione, mai autocommiserazione, ma mezzo per reagire e rialzarsi.

Le abilità di scrittura di Angel sono già state saggiate in sede di registrazione dell’ultimo, ottimo, My Woman, e dunque la maturità raggiunta sul palco appare come una conseguenza di un percorso naturale, di una crescita personale di vita e di musica in parallelo, grazie alla quale anche i pezzi di Burn Your Fire For No Witness vengono elevati. Non ci sono sovrastrutture, non ci sono patine né filtri, la Olsen è un tutt’uno con ciò che suona e, soprattutto, con ciò che canta attraverso l’utilizzo di una voce che, ad ogni sillaba, viene lecito domandarsi da dove provenga. Sa essere dolce e soave così come graffiante e incazzata, ma sempre e comunque credibile, vera.

Sembra scontato, sì, ma scontato non lo è per nulla. Noi non possiamo fare altro se non ammirare lo show, sventolando qualche aggeggio di fortuna per farci aria, ma sempre e comunque con gli occhi e le orecchie fisse su colei che, a tutti gli effetti, è diventata una grande cantautrice, un’artista matura, la My Woman che ha cantato sul suo stesso disco.