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Lo scorso 9 novembre, si esibiva a Firenze nientepopodimeno che Marilyn Manson. 

Un paio di giorni prima, sul feed di Facebook ci compare una foto di un biglietto del live in questione, pubblicata da Raffaele Sollecito.

Alla Grande! Non vedo l’ora!

Posted by Raffaele Sollecito on Giovedì 5 novembre 2015

Incuriositi dal tutto, gli abbiamo scritto.

Detto, fatto. Abbiamo chiesto a Raffaele Sollecito di raccontarci le sue impressioni riguardo l’evento. 


Tra arte e rock industrial ho incontrato Matt alla stazione di Santa Maria Novella. Non lo conoscevo affatto, ma si tratta del bassista della Tribute Band, chiamata The Spooky Kids in onore dei primordi del celebre gruppo – che poi sarebbe diventato i Marilyn Manson. Insieme attendiamo l’arrivo di amiche e amici suoi, venuti tutti con lo stesso unico fine: condividere la passione per il rock alternative ed industrial.

Arrivati davanti alle porte del celebre Teatro Fiorentino, l’ObiHall, il panorama dei fan vestiti in nero con le lenti a contatto bianche, le pupille nerissime e sconfinate, le borchie, i tatuaggi, il trucco volontariamente pesante nero, bianco e rosso, trampoli, vestiti di pelle, giacche lunghe, pantaloni aderenti, collant a rete; tutto faceva presagire il meglio: eravamo come una fila di dannati alle porte dell’Inferno dei balocchi. Non avevo nessuna tenuta particolare, ma col cuore e con lo spirito, ero esattamente uno di loro. Dopo che io e Matt ci siamo allontanati per sbranare qualsiasi cosa potesse avere una parvenza di cibo, ci siamo messi in fila e di lì a poco siamo entrati direttamente nella scena.
L’attesa è stata quindi premiata con un posto molto vicino al palco, da cui era possibile ammirare sul lato destro ogni piccolo dettaglio della stupefacente scenografia, che solo un artista creativo ed eclettico come Manson può partorire; in effetti il suo stile è unico ed inimitabile, come si suol dire: nel bene e nel male.

All’inizio si presenta una band di intro di cui non ricordo bene il nome… come di solito succede nei grandi concerti: hanno un abbigliamento insignificante e la loro musica ricorda un po’ gli Incubus, un po’ i Darkness. Nulla di nuovo insomma.
Cala la notte, la nebbia, qualche luce fa intendere che il Reverendo è lì in mezzo a quella coltre, poi parte il Requiem di Mozart: non me l’aspettavo, se prima eravamo entusiasti, adesso avevamo tutti il fiato sospeso. Decisamente un’introduzione favolosa.
La scaletta era chiara già dall’inizio: Deep Six per riscaldare gli animi. Il problema è che gli animi erano già fin troppo caldi e l’euforia ha portato la folla a spingere come dei dannati, facendo soffrire non poco le ragazze più minute e le persone più deboli; di certo questa è stata una nota negativa da parte del pubblico.

Manson non sbaglia e la sua verve pervade, come sempre, gli animi di tutti noi commensali. Ad ogni canzone una scenografia ed uno show diversi. Da Disposable Teens a Mobscene, il ritmo non lascia dubbi ed i pezzi, che hanno fatto la storia del successo dei Marilyn Manson, corrono sulla pelle di ognuno di noi mentre saltiamo, intoniamo e cantiamo il suo maestoso decadentismo.
Nessuno fa in tempo a ricordarsi ancora dei suoi anni artisticamente più rosei che torniamo a deliziarci con un altro pezzo del suo nuovo album: Cupid Carries A Gun. Il suo nuovo album è meritevole sicuramente del suo incredibile talento negli arrangiamenti, ma negli anni il suo timbro è diventato a tratti più morbido, più malinconico, che ha anche un pizzico di sound che rieccheggia la west coast ed il suo tradizionalissimo country.
Immediatamente si ritorna al pezzo che, secondo me, ha segnato la sua storia per sempre, lanciando Manson, da essere un particolarissimo artista di alternative rock, ad una vera e propria rock star: sto parlando di Sweet Dreams. In onore del pezzo che amo più di tutti, si è presentato in stampelle con trampoli nello stesso perfetto stile.
Mentre cantiamo, mi accorgo che non sempre Marilyn ci mette il massimo, non sempre i suoi famosi overdrive di voce si sentono vivi e vegeti e questo mi fa pensare che o è distratto dalle varie scenografie da preparare di volta in volta, oppure gli manca qualche batteria.

I bei ricordi degli anni ’90 non lasciano spazio ai brutti pensieri e dopo pochi minuti di attesa salta sul palco tutta la carica rabbiosa di Angel with the Scabbed Wings e per l’occasione Marilyn ci regala un microfono che farà da manico ad un coltellaccio scintillante che punta a volte sul pubblico e a volte su se stesso, come a spennellare quel sottile simbolismo, che ti fa pensare a quanto le parole possano trasformarsi in un’arma, che ferisce e uccide. In questo caso Manson si ferisce un po’ ad una mano (o fa finta?), per il suo pubblico che sarà strafelice di ricevere addosso qualche schizzata qua e là in segno di benedizione. L’evoluzione della specie e del suo talento ci portano al suo Cruci Fiction in Space, che va diretto come un’inarrestabile marcia al fronte della rovina. Infatti in fondo al tunnel c’è Irresponsible Hate Anthem, che rigurgita tutto quello, che sembrava gli fosse rimasto in corpo.
Ormai eravamo tutti felici dei doni ricevuti, tra il lancio del suo cappello sulla folla e le scenografie irresistibilmente provocatorie e irriverenti, ma ecco che ad un tratto ci fa capire che fino a quel momento aveva quasi scherzato.

Arriva un mostro sacro del suo repertorio: The Dope Show, un vero e proprio inno decadente alla droga ed ai costumi sociali annessi. Per il pezzo, prima inala da una mascherina  (sarà gas?!) e poi si versa sulla faccia della polvere bianca che esce da una bustina trasparente. Non c’è che dire: più dopato di così, lo show non può essere.
Ma non è finita qui: vediamo un pulpito in stile comizio, muoversi sul palco. Il simbolo del partito di Manson sulla parte frontale non lascia alcun dubbio: sapevamo tutti che pezzo avrebbe suonato: Antichrist Superstar. La folla ormai era in delirio: il pulpito è pieno di microfoni, strumento della propaganda del suo talento.
Mentre sale tiene in mano una Bibbia in fiamme: lo scandalo è alle porte: il simbolismo fa pensare come sia facile riempirsi di belle parole facendo riferimento ad un testo Sacro pieno di etica e di morale come la Bibbia; il problema è che, molto spesso si vomita immondizia farcita di retorica, come espliciterà concretamente Manson, sorseggiando un po’ di una bevanda che sembra birra, e sputandola sulla folla mentre è lì in cima a tutto e tutti.

Subito dopo colpisce con, uno dopo l’altro, i suoi pezzi migliori e più famosi: The Beautiful People, favoloso arrangiamento dei suoi primi esordi e infine il pezzo che chiude il cerchio: Coma White. Così come ha cominciato il concerto, onorando la morte con il Requiem di Mozart, così adesso chiude il concerto con la commemorazione del Presidente John Fitzgerald Kennedy. Alla base del suo microfono c’è un grande bouquet di fiori bianchi macchiati del sangue di quello che è uno degli omicidi più tristi e scabrosi della storia.
Ormai tutto è concluso e l’agglomerato di società spazzatura, decadentismo, irriverenza, provocazione, odio e morte hanno dato il loro spettacolo.
Le luci del teatro si accendono a giorno; ci guardiamo tutti spaesati come se mancasse qualcosa… è stato tutto così rapido! Solo un’ora e trenta minuti per tutto questo. Già di solito i concerti sono un po’ più lunghi e questa strana rapidità non ha fatto piacere a nessuno.
Intanto Matt e gli altri componenti della sua band erano tutti li.

È tempo che i dannati si vadano a fare una birra; d’altronde saremo anche stanchi dopo tutte quelle urla e salti … tra qualche risata e commenti sul concerto ognuno torna alla quotidianità.

Live report a cura di: Raffaele Sollecito.


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