Questo è il caso in cui un artista spiega dietro di sé un immaginario ben definito, un’identità marcata sin dalla prima presentazione: lo sfondo è montano, ma l’animo è bonario, contro tinte invernali che indurrebbero a durezza e isolamento. Sciolte le nevi, sbocciano i colori di un ambiente pacifico, silenzioso, in cui la riflessione si fa intima e le emozioni più intense.

Di Wrongonyou si legge quanto esteticamente e liricamente rappresenti, una figura possente dai modi gentili, ma soffermarsi troppo a lungo su un quadro stereotipato per un artista folk ne mortificherebbe qualità ulteriori, rendendo proprio quegli aspetti così caratteristici dei canoni già noti che ne limitano l’evoluzione artistica. Realmente la natura è un elemento dominante nella sua produzione, come lo sono temi sentimentali e sonorità a cavallo fra elettronica e live in acustico: il centro che rimane fermo oltre la pubblicazione di svariati singoli, un EP (The Mountain Man, anch’esso fortemente particolarizzato), e la scritturazione ad opera di una delle label più pop del panorama nazionale è la voglia di suonare di un ragazzo formato nella provincia, muovendo i primi passi in pubblico solo chitarra alla mano.

Oltre la discografia e il mercato, ciò di cui interessa scrivere è lo scheletro di un progetto, le ossa robuste che ne hanno consolidato la corporatura. Marco Zitelli ha macinato date fra Italia ed Europa, è stato parte della line up del Primavera Sound Festival 2017 e lo sarà di quella del texano SXSW nel 2018. Debuttare nel contesto musicale nostrano cavalcando un genere che non ha goduto di particolare sviluppo o fortuna, è una scelta artistica che avrebbe potuto funzionare soltanto se davvero creduta, incarnando a prescindere quello che, come già detto, si è sempre più delineato in un personaggio riconoscibile nei suoi lavori. Conservare autenticità dietro l’arrivo di una major è una responsabilità che richiede altrettanta volizione, mantenendo equilibrio fra quanto si è e quanto si debba essere per logica di vendita; c’è un orso nell’artwork di copertina, i laghi e le cime innevate sono ancora scenografia, nel complesso la formula iniziale non è stata del tutto compromessa.

Rebirth è un album d’esordio già sufficientemente completo e maturo, perché venuto alla luce al termine di un processo creativo lungo e altalenante, durato gli stessi anni che Zitelli ha sentito necessità di tradurre in racconto, esperienze complesse di rottura e cambiamento. Idealmente, il disco si suddivide in due sotto-sezioni, come un percorso interiore spezzato in un punto e ripreso, fatta mente locale dei propri desideri e dei modi per esaudirli. Le tracce già celebri sono elencate alla fine come un biglietto da visita al contrario (Green River, The Lake, Killer), radici affondate in un terreno morbido e caldo come l’interpretazione offertane, marchio di fabbrica di una voce che graffia ruvida le pareti del cuore. Non a caso, fra i pezzi noti ne compare uno inedito, Sweet Marianne: separata e distinta dalla prima parte del lavoro, la ballata è una dichiarazione d’amore struggente e di supplica, preghiera accorata in cui l’essenza di Wrongonyou si fa largo più sincera che mai. Come fosse una delle sue prime esibizioni in un boschetto del Lazio fra amici, la carica emozionale è affidata unicamente al testo, all’eco del vocoder e alle corde, gridando in parole la frustrazione di un dolore non curato.

Nella sezione iniziale dell’album si manifesta una contraddizione: fatta eccezione per Tree, opening track estratta dalla produzione precedente (qui in chiave rimasterizzata), il seguito della scaletta tende ad appiattirsi in una manipolazione audio tanto indie e tanto pop, impoverita di quel tratto grezzo, spontaneo, della natura al suo risveglio. Family of the Year, Son of Winter rallentano il ritmo come a trascinarlo, offuscando la luce di una composizione piena di vita anche quando sofferta: l’abilità di Zitelli è quella di riempire la forma di contenuto, di passione che arriva al fondo dell’animo infrangendone la scorza per scuoterne le membra. Un dato che sembra disorientarsi in questa prima parte, sebbene dovrebbe rappresentare la rinascita dell’artista. Est modus in rebus, nelle cose stesse è data la loro misura, ed è la rinascita a dover trovare in sé il proprio confine, non allontanandosi troppo in là dalle origini, non rimanendovi troppo ancorata nel fare di Wrongonyou sempre e solo l’uomo della montagna. Il suo esordio splende di potenza interiore, ma non può e non deve scendere a patti con la corruzione della semplicità.

Tracce consigliate: The Lake, Green River, Sweet Marianne.