Il nome suona bene vero? Vi fidereste del disco di Will Butler no? In realtà il nome che vi risuona nella testa magari è quello del fratello Win Butler. Entrambi suonano negli Arcade Fire, ma mentre quest’ultimo è una delle teste pensanti della gruppo di Montreal, cantante e chitarrista, il primo invece è un polistrumentista, folletto mestierante di sintetizzatori, tromboni, contrabbassi e di tutti i suoni che infarciscono i pezzi degli Arcade Fire e li rendono così totali e compiuti. Insomma, Will Butler è uno che fa il lavoro sporco e ha deciso invece per una volta di arrivare davanti a tutti, sotto le luci, e di pubblicare il suo primo disco Policy proprio questo marzo per la Merge Records. Magari però Will Butler l’avete già sentito per la bella colonna sonora del film Her di Spike Jonze – scritta con Owen Pallett – e lì aveva dato una buona prova di sé. Insomma, qualche aspettativa comunque c’era.

Mentre il grande gruppo annuncia che si metterà a lavoro su un disco da quest’autunno, Will Butler apre il suo disco solista con delle schitarrate allegre da garage rock in Take my Side, per continuare poi con Anna che è un bel misto di synthpop, batteria nervosetta e testo ritmato che rende bene al primo ascolto e resta uno dei pezzi memorabili dell’intero Policy. Something’s Coming è la traccia che più ricorda il gruppo padre dei Butler, ma sembra una curiosa b-side di qualche disco più che un pezzo autosufficiente, mentre Witness, l’ultima traccia, è abbastanza valida ed è una sorta di rock’n’roll dal testo straniante e divertente.

Policy suonerebbe sulla carta come un lavoro di cantautorato maturo, ma è proprio la maturità che gli manca; anche i testi hanno un’ironia sorniona di chi la sa lunga, e invece vengono contraddetti dalla riuscita finale del disco. È una piccola accozzaglia, un insieme di generi che si sposta dal macrogenere inglobante degli Arcade Fire e finisce per presentare tutte le influenze musicali di Will Butler (l’ha detto lui stesso d’altronde). Il problema è che sono troppe, tutte insieme, e in uno spazio troppo piccolo: il synthpop, il rock, le ballate à-la Lennon, un tocco di disco music, un po’ di folk e in generale tutto ciò che un polistrumentista deve conoscere per essere così valido come il caro Will, ciò che lui chiama “American music”. Il fatto che il disco sia stato registrato in una settimana in realtà fa pensare che le sue idee fossero chiare, ma ciò non si riflette in Policy. Insomma, sulla carta dovrebbe suonare benone, e invece?

Le domande che sorgono sono un po’: come ti è venuto in mente di pubblicare un disco così poco sensato nel complesso? Perché chiamare un figlio Win e l’altro Will se non per fare confusione?  Può essere un pregio il fatto che un disco sia bruttino ma duri poco? Come si cucinano i “pony macaroni” di cui parla in What I Want? Senti Will, facciamo così: diciamo che questo è un assaggio di ciò che ci aspetterà più avanti con gli Arcade Fire, un piccolo antipasto. Buono eh, però aspettiamo il resto.

Tracce consigliate: Anna