Godfather, l’undicesimo album in studio di Wiley, sarebbe dovuto uscire l’estate scorsa, se non fosse che in un momento di evidente delusione il rapper londinese dichiarò che non l’avrebbe più pubblicato in quanto considerato inutile. Non sappiamo chi o cosa gli abbia fatto cambiare idea, ma è un bene che sia tornato sui suoi passi perché i 16 brani che compongono il suo ultimo (in tutti i sensi) lavoro non solo non sono inutili, ma hanno dato vita a quello che possiamo tranquillamente considerare il migliore disco della sua intera carriera. Non mancano nemmeno i featuring: Skepta e altri appartenenti alla crew BBK (che cita e loda nel brano di apertura Birds N Bars e Can’t Go Wrong), alcuni vecchi rivali storici come Ghetts e Devlin,  e altri compagni di viaggio come J2K, Flowdan, Jamakabi, Ice Kid, Scratchy, Lethal B, Breeze & Manga.

L’ottima produzione (a cura di Darq E Freaker, Jme, Preditah, JLSXND7RS, Rude Kid,Teeza, Zeph Ellis, Swifta Beater, Kid D, Morfius, Mucky e CJ Beatz) viaggia sui classici 140 bpm ed accompagna il rapper di Bow in quello che è in tutto e per tutto una sorta di testamento in cui l’Eskiboy ribadisce di essere il vero padrino e pioniere del genere, con un’attitudine forse anche più cattiva di come l’avevamo lasciato nel precedente Snakes & Ladders. In questo album di addio non c’è spazio per divagazioni commerciali alla Wearin My Rolex, ma una precisa volontà di rivendicare la sua posizione all’interno di un genere che lui stesso ha creato.

Autobiografico e autocelebrativo, Godfather è il canto del cigno di un artista in pace con se stesso, consapevole dopo 20 anni di carriera (e dieci dischi alle spalle) di non avere più niente da dimostrare, dove si compiace del successo delle nuove leve, mette fine a una faida iniziata nel 2006 con Ghetts (nel brano Bang) e collabora con uno dei suoi storici rivali Devlin in uno dei pezzi migliori (Bring Them All/Holy Grime). Esce dopo un anno in cui il genere da lui creato ha raggiunto il massimo della popolarità, arrivando a trionfare ai Brit Awards e uscendo dai confini britannici per trovare (relativamente) successo fino agli Stati Uniti. Wiley avrebbe potuto sfruttare questo successo riempendo l’album di collaborazioni con nomi altisonanti (come Drake e Kanye West, tanto per citarne due che ultimamente hanno attinto non poco dal grime), invece ha scelto di rimanere fedele alle origini e, pur non essendo niente di nuovo o mai sentito, regala ai suoi fan e alla scena intera il migliore epilogo che ci si augurava dal creatore di un genere considerato importante nel Regno Unito per il nuovo millennio quanto il punk nel momento di suo massimo splendore.

Godfather è  lo spartiacque tra la vecchia e la nuova scuola, il virtuale passaggio di testimone alla nuova generazione che vede come protagonisti Skepta e Stormzy su tutti, che stanno già ridefinendo ed espandendo allo stesso tempo i confini di un genere di cui Richard Cowey, da Londra Est, sarà per sempre il padre fondatore, the one and only.

Tracce consigliate: Bring Them All/Holy Grime, Birds n Bars