Dopo i Beatles, Joao Gilberto e i Fleetwood Mac, anche per gli Weezer è arrivato il momento del proprio White Album. Siccome sono dei simpaticoni, questo è il quarto self-titled colorato, dopo il blu, il verde, il rosso. Dopo le correzioni e la discreta autocritica del proprio lavoro per tutti i dischi degli anni 2000, avevamo lasciato il gruppo di Rivers Cuomo con un album che correggeva il tiro degli errori del passato, Everything Will Be Alright In The End, e un discreto punto di domanda per il futuro. Così i quattro hanno pensato bene di scegliere il colore dei nuovi inizi, il bianco, per la nuova opera.

Gli Weezer di questo Weezer (White Album) son sempre loro, col loro power pop alternativo, con palm muting e con tutta l’aria del gruppo che suonava nei cortili dei sobborghi americani per gli amici loro, ma allo stesso tempo un pelino di disagio nerd che li rende simpatici un po’ a tutti. Gli Weezer ci ricordano tempi andati, nei quali le magliette con le spalle larghe erano di moda e gli Weezer erano fighi, e nessuno indossava per moda gli occhiali da vista dalla montatura grossa, tempi che possiamo vedere con nostalgia o con distacco storicizzante, ma che comunque hanno un suono e una personalità ben definita. Ecco, con il White Album c’è una (ennesima) ricerca nella direzione del suono classico degli Weezer, con delle tastiere in più e qualche assolo che ci si poteva risparmiare – (Girl We Got A) Good Thing, sto parlando con te. Però c’è una buona base sincera nell’opera, e dei livelli di scrittura discreti. Esempi sono il bel bridge di Summer Elaine and Drunk Dori, seguito dalla bella L.A. Girlz, con le sue vaghe rimembranze dei Neutral Milk Hotel, che gioca un po’ con gli stereotipi e i concetti di aspettative dal sesso femminile. Questo aspetto ironico nei testi è una caratteristica che spunta con gli ascolti ripetuti: difatti si va da tracce assolutamente naïf come l’opener California Kids o il singolo Do You Wanna Get High (qualcuno ha detto The Good Life?) a pezzi in cui si incrina un po’ la narrativa diretta degli Weezer, e si capisce che c’è una seconda lettura ai testi scontatini della band californiana.

Visto e considerato che non sono più gli anni ’90, che ormai Cuomo c’ha 45 anni, che l’età media del gruppo è 47, e alcune recenti interviste di Rivers, propenderei per questa seconda lettura. Ad un ascolto più attento infatti il White Album mostra la sua parte ironica e brillante, nascosta sotto la patina nostalgica, che è soprattutto nei testi contrapposti alle musiche così classiche e scanzonate. Ogni canzone d’amore non corrisposto (il gruppo di Los Angeles ne è maestro) è univoca, parla solo dal punto di vista maschile, e la risposta implicita alle domande che gli Weezer si fanno (di solito varianti del classico “oh bella ragazza, perché non mi ami come ti amo io?”) è che l’altro punto di vista non è considerato, e il personaggio principale di molte delle canzoni del White Album è concentrato solo su sé stesso senza pensare che anche l’altra persona possa avere dei pensieri, delle sensazioni e che possono non corrispondere con le proprie. L’esempio maggiore è la superdonna demascolinizzante del video di Thank God For Girls (copertina più bella del mondo), in cui la posizione della donna supportiva dell’artista tipica di un sacco di canzoni (quelle dei Weezer pure) viene esagerata e caricata fino al grottesco. Dall’altra parte dello stereotipo la bella King of the World inizia come inizierebbe un bel pezzo degli Smashing Pumpkins e poi ci si ritrova a cantare il ritornello perché entra in testa e non esce facilmente, in un pezzo dedicato da Rivers alla moglie Kyoko Cuomo, come dimostrato da un bello scambio di commenti sul sito Genius: qui è lui a parlare con una certa delicatezza del supporto alla moglie, delle sue paure, del suo mondo, spostando il focus dal proprio.

Weezer (White Album) suona davvero come un disco degli Weezer, con i suoi pregi e i suoi difetti: i coretti che fanno tanto Beach Boys, le schitarrate, i ritornelli da canto in macchina, la California. La versione volutamente ambigua della sincerità adolescenziale che fu del Blue Album o di Pinkerton dura da anni con risultati altalenanti (d’altronde è passato un ventennio…); questa volta la sensazione all’ascolto è piacevole, ma niente più di questo. Sembra ci voglia qualcosa in più.


Tracce consigliate: King of The World, L.A. Girlz