Tutto è nebbioso e sovraesposto nell’eponimo esordio dei Viet Cong; dal muro di luce e dalla coltre delle nuvole a fil di terra emergono spettri che imbracciano tamburi e mentre il suono deflagra nel buio (Newspaper Spoons) intonano il proprio inno d’alienazione che apre le porte ad un arpeggio luminoso, la nascita di un lato nascosto del brano. Un attimo di luce, durevole quanto l’intervallo nello switch dell’interruttore e Pointless Experience disorienta facendo oscillare nella cassa cranica feedback, una sezione ritmica chirurgica e nevrotica nei cambi, chitarre e voci ad incastro nel labirinto creato.

March Of Progress racchiude la sorpresa che l’intero album genera sull’ascoltatore. Tra una cassa fredda e imperterrita si crea un ambiente industrial, tra recenti ondate di nuovo interesse generate da etichette come posh isolation e progetti come Vår, e ripescaggi classici (Los Ninos del Parque dei Liaisons Dangereuses). Tutto sembra inerme fino allo sconvolgimento di loop chitarristici, la mente corre a Helicopter dei Deerhunter, fino al ritorno trascinante della sezione ritmica, post-punk nel rispetto della tradizione. Riparliamo sì ancora di post-punk ma non di scarni brani diretti da sedicesimi e bassi scarnificati drogati di chorus. Bunker Buster dimostra una gestione di tempi irregolari con mano ferma e precisa, senza trascurare pieghe melodiche necessarie per la messa delle fondamenta nei timpani dei fruitori del prodotto.

Continental Shelf è stato il primo singolo rilasciato e ha colpito a primo impatto una gran fetta di persone, portandoli a segnarsi in agenda la release date dell’album. E’ il brano più orecchiabile e assimilabile all’interno di un album non così semplice. Per fornirvi delle coordinate stilistiche possiamo scomodare senza sentirci in colpa i primi Interpol, un paragone da richiamare anche nella traccia successiva Silhouettes, un punto d’incontro tra una Roland della band newyorkese e un (ancora) inaspettato sentore nostalgico chiamato Bloc Party. Si arriva al centro del labirinto metallico e nuvoloso con Death, 11 minuti di una superba prova di forza e gestione dei propri mezzi che la band di Calgary ci tiene a rendere ben chiara a tutti se, dopo essere arrivati fin qui, si nutrissero ancora alcune riserve. La batteria marcia mano nella mano con le chitarre leggermente compresse e riverberate, si inizia a correre stimolati dal continuo battere del floor tom e intorno al quarto minuto si stende il tappeto alla noise nausea (notate l’assonanza leggendo entrambi i termini in inglese) che va scemando trasformandosi in frustate o lampi azzurri come quelli descritti da Sylvia Plath durante le sessioni di elettroshock. Terza sorpresa in questa matrioska: il ritorno a un ossessivo e dritto pattern post punk e giochi chitarristici tra arpeggi e chords destrutturate.

Richiudete la matrioska e uscite dal labirinto che i 4 ragazzi canadesi hanno plasmato su di voi in questi 37 minuti. Con solo un Ep all’attivo e un passato in una band art-rock, Women (ecco spiegati i continui richiami ai Deerhunter) Viet Cong è una delle prime rivelazioni di questo 2015. Un compatto cubo di Rubik sottoposto a una fiamma costante, in cui far sciogliere le varie facce e ottenere un colore unico finora sconosciuto continuando a manipolarlo tra le mani (e le orecchie).

Tracce consigliate: Continental Shelf, Death.