Sorpresa: dopo venticinque anni di onorata carriera al servizio del math rock strumentale, i Tortoise ci mettono le parole. Dopo sette di assenza, The Catastrophist arriva con ben due brani che accolgono il cantato. Ulteriore sorpresa giunge nel constatare che entrambi si collocano tra gli episodi migliori di questo ritorno. Che si tratti di volta in volta di eventi inaspettati per i Tortoise stessi? A stare a sentire il risultato finale, anche stavolta la gradevole impressione è che alla base delle sperimentazioni della storica formazione di Chicago non ci sia una ricerca meticolosa, bensì un approccio ludico tipicamente jazz a base di improvvisazione spensierata.

Per il biglietto da visita la scelta è collaudata: il crescendo dei synth che si fronteggiano in Gesceap, primo singolo estratto con cui il quintetto annunciò il proprio ritorno nell’ottobre del 2015, punta sulle stesse inquietudini spigolose degli esperimenti tra i più estremi del passato, come DJed, quella torbida matassa umorale lunga venti minuti che apriva Millions Now Living Will Never Die.
Nel bilancio globale, le chitarre sono condensate per far posto a un’elettronica eclettica e disturbata. La strategia è chiara sin dalla title-track che inaugura l’ascolto: l’inusuale intro sintetica (un vezzo retromaniaco che fa il verso a un jingle anni ’70) si placa per far spazio alla malinconia delle corde, ma la tregua concessa dai synth dura poco. Nel duello, è la sezione ritmica a condurre il gioco, sia nei momenti morbidi come The Catastrophist che in quelli più marziali e perturbanti (Shake Hands With Danger), la stessa che guidava Beacons of Ancestorship, a voler a riprendere il discorso là dove lo avevano interrotto nel 2009. Di rado però i Nostri rischiano di suonare stantii, perchè ogni lavoro dei Tortoise si rivela un buon pretesto per invadere nuovi mondi sonori.
A intervallare le tracce più ritmate (Ox Duke, Gopher Island) spunta il primo degli ospiti, ad arricchire di ruggiti soul una viscosa cover di Rock On di David Essex. L’incursione delle liriche di Todd Rittman degli U.S. Maple non è che un dettaglio dello scarto col passato, un pretesto per introdurre la vera novità: il brano emana un odore intenso di sensualità black, che torna poi nel mood retro funk di Hot Coffee e ancora in Yonder Blue, ballata sghemba in cui si impiglia il timbro ovattato di Georgia Hubley degli Yo La Tengo.

Il singolare modo di coniugare le logiche math con le interferenze esterne è un’abilità peculiare, che i Tortoise continuano ad affinare in questo album al contempo fluido e sfaccettato.

Tracce consigliate: Shake Hand With Danger, Yonder Blue