Se cercate in qualche dizionario “farsi le ossa come bassista in California negli anni ’10” probabilmente vi rimanderanno alla voce che recita “Bruner, Stephen”. Il buon Thundercat infatti si è fatto la sua grossa gavetta come musicista, turnista, sessionman, artista, autore, per gente come i Suicidal Tendencies, Flying Lotus, Erykah Badu, Kamasi Washington, Kendrick Lamar, Childish Gambino, Bilal; forse grazie a tutta questa esperienza il suo terzo LP Drunk riesce ad avere una massa qualitativa tale da attirare nella sua orbita le tendenze più di nicchia e quelle più mainstream senza tradire niente e nessuno.

Anticipato dal più meditativo EP The Beyond / Where the Giants Roam, Drunk inizia evocativo e diretto, con una Rabbit Ho senza Alice che fa da porta d’ingresso di tutto il lavoro. La tana del bianconiglio Thundercat è costellata di visioni, affrescata da ricordi sinestetici di generi musicali completamente assimilati nel falsetto del musicista californiano. Il pop di Michael Jackson, il soul, l’r’n’b, il jazz, le follie più pure della Brainfeeder: Thundercat mangia tutto rapidamente e risputa in 23 tracce che non superano mai i 4 minuti di lunghezza, affiancate una all’altra in un percorso aggrovigliato nelle sue dipendenze, capeggiate senza pudore dall’alcolismo. Il viaggio dentro il labirinto è fumoso e irrequieto, che inizia con Thundercat che ha perso cellulare e portafoglio chissà dove, inebriato dall’alcol, e continua con una sua logica interna. Si passa da parti narrative a strumentali sparatissimi come Uh Uh per arrivare a deliri deliziosi come A Fan’s Mail, seconda ode d’amore che Thundercat fa al suo gatto Tron (il vero nome è Turbo Tron over 9000 baby Jesus Sally) su una progressione armonica che ricorda i Daft Punk di Something About Us ma che nasconde la voglia di vivere davvero senza pensieri e senza conseguenze, senza nascondersi in paradisi effimeri. L’altra faccia della medaglia sono Lava Lamp e Jethro che esplorano dal prosaico al poetico più a fondo l’autodistruttività di Thundercat e i suoi propositi suicidi; queste sono seguite però da uno dei pezzi più luminosi del disco, Show You the Way, con Loggins e MacDonald direttamente dal rock più AOR che invece mostrano un sentiero virtuoso per uscire dal dedalo. Questo viene seguito da un feat con Kendrick Lamar che, per quanto leggermente scontato formalmente, è di grande qualità, con il rapper di Compton che restituisce uno dei favori per le splendide linee che stanno nel suo To Pimp A Butterfly. Gli ospiti nel disco sono compagni anche diegetici di Drunk, affetti che alleviano il peso delle dipendenze di Thundercat, ma non restano a lungo; Bruner traccia dopo traccia li perde, con riferimenti a una (o più) figure femminili che l’hanno abbandonato con freddezza. Ci sono anche dei momenti di dolcezza o perlomeno di una sincerità imbarazzante come in 3AM che ripete due volte “3 o’clock, just can’t close my eyes / Something’s wrong with me / No, I can’t deal, I can’t go to sleep / There’s something in my heart / The streets keep calling me”, e basta; o dei momenti politici, come The Turn Down con Pharrell. L’impressione è che Thundercat dondoli avanti e indietro nella sua dipendenza, ci si crogioli, come se fosse un’amante (com’è quella vecchia storia che tutte le canzoni d’amore del rock sono in realtà per la droga? ecco, una cosa simile), in brani con pochi punti di riferimento, spesso senza un ritornello, un bridge, una strofa, solo idee armoniche, melodie notevoli, che si attaccano il tanto da non risultare stucchevoli, mentre il basso turbina tra giri affollati e impreziositi da blue notes precise.

Drunk è un’opera ipercontemporanea non solo nella produzione (il campione che fa partire “Friend Zone” è la suoneria Segnale radio dell’iPhone…) ma nel concetto stesso delle sue mille facce, le tracce spezzettate, a richiamare l’attenzione dell’ascoltatore un po’ distratto con 22 brani diversi tra loro per poi tornare con un colpo di coda in DUI alla stessa melodia iniziale, con noi che ci ritroviamo, dopo aver girato sbronzi per tutto un labirinto sonico, di nuovo al punto di partenza. Thundercat è il suo e il nostro bianconiglio, si fa inseguire e si insegue, si perde, si attacca e si perdona da solo, in un disco arzigogolato e importante che ci riporta in superficie solo per essere pronti a ricominciare.

Tracce consigliate: A Fan’s Mail (Tron Song Suite II), Show You The Way, 3AM