C’è qualcosa di mitologico e triste nella caduta musicale dei Jesus And Mary Chain, il geniale insegnamento di Sister Ray dei Velvet Underground, incarnato in Psychocandy, rappresenta ancor oggi l’apice della carriera della band dei fratelli Reid. Il noise che sovrasta e annichilisce la melodia è un concetto che ha avuto notevole influenza per tutto il successivo movimento shoegaze. Il seguente Darklands del 1987, aveva già spazzato via tutti i feedback, tutto il bel caos rumoristico e cacofonico, per una forma di canzone pop più digeribile e assimilabile ma che era ancora figlia di un certo dark-rock. Cosa si è spezzato nel bel giocattolo scozzese? L’avvento di madchester e shoegaze prima e l’esplosione del britpop poi, hanno fatto perdere totalmente la bussola ai J&MC che per il successivo decennio hanno sempre dovuto dimostrare di stare al passo con i tempi e di essere quella band influente degli esordi; i successivi tre dischi sono la sintesi di quanto detto e solamente l’ultimo Munki aveva qualcosa da dire.

Damage And Joy, è un ennesimo modesto disco dei J&MC post-1987 con l’aggravante che gli anni 90 sono lontani e che certo britpop, presente nel disco, suonava datato già nel 2001, non è un caso che alcune canzoni siano prese dal progetto Sister Vanilla della sorella Linda Reid (Can’t Stop The Rock, Song For A Secret) e dal side project Freeheat di Jim Reid (Facing Up To The Facts, The Two Of Us), tutte già pubblicate ormai più di 10 anni fa. Se il pezzo Black And Blues con il feat. di Sky Ferreira ha una sonorità differente dal resto del disco, sebbene sia una semplice ballad, non si può dire delle altre tracce: tra pezzi madchester (Get On Home, Amputation) ed un certo smieloso brit pop (Los Feliz); tra le salvabili c’è il rock motorik di All Things Pass (un altro pezzo preso dal passato) e il pop malinconico di Always Sad.

La parte migliore del disco è l’aspra Mood Rider: le chitarre sono granitiche con un bel fuzz preso in prestito dai Dinosaur Jr., dove possiamo trovare finalmente pace da quel maledettissimo tamburello che sta sempre sui sedicesemi e che non si staccherà dalle vostre orecchie. Mai! In breve: se avete apprezzato i fratelli più guasconi del Regno Unito fino a Darklands, evitate questo disco che vi darà unicamente noia, se invece Automatic o Honey’s Dead stanno regolarmente nella vostra heavy rotation questo disco starà benissimo nella vostra collezione.

Tracce consigliate: Mood Rider.