Swans degli anni dieci, quarta prova, quarto centro. Così in sostanza potremmo sintetizzare l’ultimo The Glowing Man. E tanto potrebbe bastare perché parlarne è veramente arduo, come è sempre stato arduo parlare delle opere monumentali sfornate dalla band di Gira.
Nessuno stupore innanzitutto nello scoprire che The Glowing Man è l’ennesimo lavoro mastodontico; durata totale quasi due ore per “sole” otto canzoni.
Impensabile sezionare i vari passaggi di canzone per canzone, impensabile analizzare i cambi di tempo, atmosfera e ritmiche; perfino inutile tornare a rimarcare per la centesima volta la straordinaria perizia e l’affiatamento della band.

Il cambio di passo c’è ed è parecchio evidente; laddove vi era violenza pura ora vengono riservate non poche sorprese. Cloud of Forgetting, la traccia d’apertura, apre le danze nella maniera più bizzarra possibile; trattansi di un curioso esperimento incredibilmente vicino al kraut rock, o almeno all’idea che gli Swans possano avere, calzata nella loro dimensione musicale, del kraut rock. La tensione aumenta lentissimamente e impercettibilmente fino ad arrivare all’esplosione che non è però conclusiva; il brano ritorna sui binari e si conclude come era iniziato. Un giochino, questo, al quale siamo stati abituati più volte negli ultimi album, ma che funziona ancora bene.
Cloud of Forgetting fa il paio con Cloud of Unknowing, traccia sorella e radicalmente opposta. Poco spazio alla voce, tanto allo stridio delle chitarre e alle suggestioni industrial per il secondo brano più lungo del lotto, in una continua alternanza fra silenzi e orecchie che sanguinano (su cd forse no ma dal vivo… e guai a chi si porta i tappini!)
Altri episodi assolutamente degni di nota sono People Like Us, mezza ballata gotica e decadente che sembra uscita dall’antro raffigurato sulla copertina di Drainland, album solista di Gira che vale ben di più di quanto sia generalmente considerato, questo sia detto en passant, e When Will I Return? con la partecipazione alla parte vocale di un’eccellente Jennifer Gira.

Discorso specifico va poi fatto per la titletrack: i presenti al concerto di Milano la ricorderanno sicuramente, all’epoca leggermente diversa, molto più breve e probabilmente intitolata Black Hole Man. Qui, sentita nella sua interezza, sfoga tutta la carica devastante che ricordavamo e che, parlo per me, lasciò un’impressione eccellente in chiusura di un concerto fuori dal comune. Carica che sì è spaventosa, ma stavolta solo per metà brano; di ventotto minuti complessivi, quello che abbiamo avuto la possibilità di conoscere dal vivo è sostanzialmente la seconda parte che poi è anche la parte più coinvolgente. Non che il quarto d’ora precedente sia brutto o noioso; anzi, è il classico lungo crescendo irregolare e spigoloso al quale siamo stati abituati. Epperò sembra quasi di trovarsi, per la prima volta durante l’ascolto, di fronte a due canzoni diverse, che più che essere fusa in una sola avrebbero potuto essere separate senza paura di stonare nell’intento. Forse proprio perché il “secondo atto” è tanto forte da catalizzare su se stesso tutta l’attenzione dell’ascoltatore.

The Glowing Man è stato annunciato non senza che vi si accompagnasse una certa amarezza. Già le prime notizie parlavano di questo come l’ultimo album degli Swans; o perlomeno l’ultimo in questa incarnazione e con questa line-up. Cosa significhi di preciso, è tutto tranne che chiaro. In ogni caso nessuna o poca paura; redivivi a sorpresa dopo più di dieci anni di pausa, la qualità del nuovo corso degli Swans è stata assolutamente all’altezza dei fasti passati. Se anche quello di The Glowing Man fosse un arrivederci, le speranze per il futuro non possono che essere alte.

Tracce consigliate: Cloud of Forgetting, When Will I Return?, The Glowing Man