Quindici anni fa Ludovic Navarre usciva dal Blue Note Studio e con la grazia e il suo naturale aplomb francese si congedava con un arrivederci, dopo aver inciso e confezionato un capolavoro musicale, uno dei tanti prodotti tra le mura di quel sacrario. Tourist realizzava, allora come oggi, la giusta proporzione tra la strumentazione tradizionale e quella sperimentale e si collocava in una fetta del mercato discografico che tra il 2000 e il 2001 era germogliante e ricca: quella del future jazz unito a suoni deep house e spesso anche a ritmi bossa. In quegli anni videro la luce pietre miliari del genere in questione, quali Unreasonable Behaviour di Laurent Garnier, Animal Magic di Bonobo, Beat’s N Bobs di Aqua Bassino, The Mirror Conspiracy dei Thievery Corporation, Labfunk di Atjazz, The 5th Exotic di Quantic e infine In The Light di Shazz, ma nessuno di questi lavori sfiorò la fama e il successo di Tourist, il quale, raggiunte le oltre tre milioni di copie vendute, ottenne il riconoscimento di disco multi-platino.

Oggi, dopo quindici anni, aleggia ancora lo spettro di quell’album, che fu definito come la perfetta “sintesi di elettronica con assoli jazz”. Nonostante l’ingombrante lascito, St Germain ritrova la strada che lo riporta in studio e stende, su di una stoffa grezza e giallastra, i colori delle terre aride, delle dune di sabbia rossa e degli alberi di acacia, realizzando così un affresco mobile ed espressivo e insieme un racconto particolareggiato e puntuale del suo viaggio nel continente africano. In St Germain l’elemento preminente e costante è allora il canto descrittivo, la coralità, e quindi anche la partecipazione, nel senso che le voci in accordo con l’accompagnamento strumentale generano una coscienza motoria vibrante, un trasporto fisico, all’insegna della tradizione musicale propria dell’Africa. Così tracce quali Sittin’ Here, How Dare You, Voilà, Family Tree, che pur mantengono fraseggi latini e giri armonici funky, sono ricche di arrangiamenti ancestrali, cerimoniali e pulsioni vitali, libidiche ed emotive espresse per mezzo della voce; Hanky-Panky, Mary L. e Forget Me Not, quali tracce solo strumentali invece, si servono della miscela di blues, jazz e musica nera, tagliata con le melodie fresche e le ritmiche moderne del french touch. L’opener Real Blues, i suoi tamburi sfalsati e il suo carattere groovy, è infine ciò che dà certezza che la marmellata sia della conserva Navarre.

L’ultimo album firmato St Germain è concettualmente distante dalle altre produzioni che portano la stessa firma e per questo motivo il metro di giudizio non può essere eguale, ma occorre usare due pesi e due misure. Neppure si può dire, come è stato detto, che il risultato sia qualcosa di già noto, dato che artisti quali Nick Zinner degli Yeah Yeah Yeahs, Damon Albarn, o gruppi come i TV on the Radio hanno già in precedenza cercato una connessione e una fusione con la musica prodotta qualche miglio più sotto il Mediterraneo. Quel che è certo è che nell’insieme è un lavoro sapientemente architettato e orchestrato, come non poteva essere altrimenti. Che non solo consciamente mette insieme autentiche radici ed influenze recenti, ma che concede anche il giusto primato e spazio alla musica tradizionale africana, alla combinazione di suoni da cui i macro-generi quali il jazz, il blues, ma anche l’house, sono stati originati. In questo, ciò che fa pensare è che, dopo due decenni di produzioni, l’ultimo dei quattro album di Ludovic Navarre sia eponimo, quasi come il pioniere del french touch volesse dire: è rappresentativo di me più questo che altro e chi non riesce a comprendere questo non può aver compreso quello che è stato il resto.

Tracce consigliate: Sittin’ Here, How Dare You.