Nella speranza che ad ogni ascolto il sophomore degli Speedy Ortiz, Foil Deer, prendesse una migliore piega, sono stato abbattuto e quasi annichilito. Intendiamoci, non stiamo parlando di una ciofeca e nemmeno di un passo falso: Gli Ortiz sono riusciti a personalizzarsi e ad essere riconoscibili tra melodie sghembe e ritmi math-pop che ricordano gli Helium di Mary Timony.

Il duo iniziale Good Neck e Raising the Skate, creano delle aspettative che mano a mano vengono tradite. Le successive tracce non sono male, avendo molte idee e spunti interessanti (vedi la conclusione digrignata di Homonovus), ma il problema vero è che non esplodono mai e sembrano perdersi nella noia. Potrebbe essere benissimo una cosa voluta dalla band e non nego il mio amore per gruppi che hanno album interi che non parano da nessuna parte (un esempio completamente casuale che non c’entra nulla con gli Ortiz è Oh, Inverted World dei The Shins).
Puffer, divide mentalmente il disco col suo andamento pacatamente industriale, senza esageratamente storpiare il sound della band. Dopo un’altra buona prova con Swell Content, ritorna ancor più rovente e avvolgente il tedio, con canzoni completamente lasciate a se stesse e senza meta. Le tracce non superano mai i 5 minuti, ma certi passaggi diventano infiniti e mescolati ai loro tipici suoni dissonanti, diventano dei mattoni molto pesanti.

Foil Deer poteva dire molto ma molto di più, invece ci resta un mezzo-disco che non aggiunge nulla e toglie abbastanza, dopo un esordio eccezionale e un EP che a posteriori vale molto di più di questa pubblicazione. La scena matematica di Boston e del Massachusetts è bella viva, la band della Dupuis ha abbracciato il pop riuscendo a non diventare pacchiana, anche se molto spesso, uscire da quei riff dissacranti gioverebbe al risultato generale.

Tracce consigliate: Raising the Skate, Swell Content.