2017, l’anno in cui ritorna il duo più famoso, esplosivo, talentuoso del rap anni ’10.
2017, l’anno in cui le mani che reggevano catene d’oro in copertina diventano esse stesse, consapevolmente, d’oro.
2017, l’anno in cui Trump si insedia alla Casa Bianca.
2017, l’anno di Run The Jewels 3.

Zero preliminari, zero preparativi, il disco compare così, in free download a Natale 2016 nonostante l’uscita fisica fosse programmata per gennaio 2017. Un segnale molto forte che sottolinea nuovamente quanto Killer Mike ed El-P muovano i propri passi in maniera totalmente avulsa a ciò che normalmente si confà all’industria musicale. Allo stesso modo, parlando di potenza di fuoco e d’urto, RTJ3 colpisce forte come il terzo gancio alla mascella, quello del KO.

Stilisticamente non si riscontrano novità rispetto ai due capitoli precedenti (RTJ1, RTJ2). Le basi sono sempre un mix di ritmiche anni ’90 e piccoli orpelli di modernariato futuristico, batterie “vere” e 808 spinte sempre oltre, cori e chitarre, bassi acidi e sub paranoico-ossessivi che ribaltano gli impianti, vaghi echi di grime che spuntano dai vicoli di Atlanta e New York. Nei quattro quarti si mescolano sudore, sangue, catrame, fumo, saliva, south e east. Qui sta tutto il genio di El-P, nel saper combinare, grazie ad una produzione magistrale, un’estetica perfetta e un impatto sonoro devastante per ottenere un sound unico; e poco importa se ogni piccolo pezzo del puzzle non è originale ai blocchi di partenza perché la visione d’insieme lo diventa sulla linea del traguardo.

Le liriche sono però, oggi più che mai, in una scena che sembra perdere sempre più il legame linfatico tra arte – hiphop – e contesto storico, il fulcro del lavoro. Non si può perdere di vista il fatto che Killer Mike abbia sostenuto strenuamente e assiduamente l’amico Bernie Sanders durante la campagna elettorale per le presidenziali americane, né tanto meno l’odio mai celato del duo nei confronti del neoeletto Trump. Il perno dei testi è proprio la disuguaglianza razziale che affligge l’America da tempo, ma che con Trump sembra essersi concretizzata ancor di più – se mai ce ne fosse stato bisogno. Proprio per questo motivo anche i messaggi veicolati non rimangono in equilibrio precario sul livello teorico-ideologico ma lo sfondano a calci, inneggiando ad una rivolta troppo spesso rinviata e che ora deve farsi concreta, violenta: No more moms and dads crying/No more arms in the air/We put firearms in the air/Molotov cocktails thrown in the air/CNN got dummy Don on the air/Talking ‘bout he smell that ganj in the air/Dummy don’t know and dummy don’t care/Get that punk motherfucker outta here (Thieves). C’è la rivoluzione nelle metriche che si ergono a manifesto in questo terzo capitolo della saga, il più politico per urgenza storica, il più adirato e passionale, crudo: Golden rule is, “Don’t lose your soul”/Piss on power/Golden shower (Stay Gold), o ancora It’s too clear, nuclear’s too near/And the holders of the molotov/Say that “Revolution’s right here, right now”/And they ain’t callin’ off (2100).
In un’ottica più dilatata, parallelamente e incidentalmente alla via di significato principale, troviamo gli attacchi al consumismo e al capitalismo, concentrati in Hey Kids (Bumaye), con un Danny Brown in grandissimo spolvero, e nella conclusiva A Report To The Shareholders : Kill Your Masters che vede la chiosa di Zack De La Rocha, non nuovo a featuring riusciti con i due. A cesellare il tutto vi sono chiaramente il leitmotiv del fumare erba, la vita di strada e le morti che questa si porta appresso, gli abusi della polizia, un certo tipo di ironia tagliente (sebbene in quantità minore rispetto agli esordi, sempre per i motivi di cui sopra), una biblioteca intera di preziosi riferimenti letterari e cinematografici, sia dal passato che dalla contemporaneità (Dante, Tolkien, Dahl, Shakespeare, ma anche Kubrick, Tarantino, Coppola, e la lista potrebbe continuare). Indispensabili per la godibilità musicale sono poi il sax di Kamasi Washington (Thursday in the Danger Room) e le voci di Tunde Adebimpe dei Tv On The Radio (Thieves!), di Joi (Down), di BOOTS (2100), di Trina (Panther Like a Panther).

In definitiva sì, i Run The Jewels hanno fatto, di nuovo, ciò che avevano già fatto per ben due volte: un disco consapevole, ricco di anthem e pezzi d’impatto tanto musicale quanto sociale (la potenza di Panther Like a Panther ed Hey Kids è davvero difficile da spiegare a parole), un lavoro coeso, attuale e riconoscibile per tematiche, sound e immaginario. I bassi e i beat sfregiano i timpani, le rime colpiscono le menti con un flow vario e mai banale, ora più pacato e conscious ora più aggressivo e d’assalto.
RTJ3 è un pugno in pieno volto a tutto ciò che è sbagliato, uno scossone a chi inerme resta a guardare la deriva umana nella società, una pistola carica puntata agli abusi di potere, un coltello alla gola delle discriminazioni, l’ultimo avvertimento ai Fucking fascists.
Killer Mike ed El-P si riconfermano, per l’ennesima volta, i Batman e Robin del rap, i pesi massimi dell’hiphop, due artisti e due teste pensanti tra le più grandi del panorama musicale contemporaneo.

Say hello to the masters

Tracce consigliate: Panther Like A Panther (Miracle Mix) (feat. Trina), Hey Kids (Bumaye) (feat. Danny Brown), A Report To The Shareholders : Kill Your Masters