81R1DDCPRZL._SL1417_-1

Durante la ricerca sul tubo del tuo pezzo della vita, può capitare di cliccare il video sbagliato e trovarti di fronte ad una di quelle slideshow di merda con il tramonto sul mare ed una donna che bacia il sole ma in realtà è un effetto ottico. “L’elettronika è il viaggio del mio cuore”, “Music is my medicine”, immagini tipo questa.

La scelta del brano è caduta su uno dei pezzi di Iffy, un album al quale ti sei affezionata nonostante il tuo Spotify dice che bazzichi new wave e musica popolare russa. Ricordo di quando postavi Bonobo e Yann Tiersen, di quando apprezzavi Recondite perché la Ghostly International era la tua vita. Ti faceva sognare. Mi chiedo come può piacerti un lavoro così tecnicamente certosino e lontano dai tuoi soliti ascolti ricercati. Berlino non era troppo fredda per te?

Ti sei ricreduta, chi non lo farebbe di fronte ad un esempio di microhouse sublime, che spicca come i diamanti del tuo Swarovsky in un mare di bigiotteria. Iffy può sembrare l’ennesimo figlio di Ableton e dei suoi pacchetti senz’anima, ma la sua innata capacità di essere al di sopra degli stereotipi techno mainstream degli ultimi anni è la dimostrazione di come la mancanza di sample vocali possa essere il valore aggiunto di un disco dannatamente rock.

E Recondite è la rockstar che stavamo aspettando, con la coolness Visionquest e la Germania made in Tresor. Innervisions, ancora una volta, mette il marchio sul terzo e definitivo lavoro del berlinese, dal quale si viene inghiottiti già dal primo kick dell’opening Baro, una intro di un album X della vostra vita. Un brano che dice già tutto sul lavoro inumano che viene fatto sulle tracce: bassline curate, drum machine martellanti, synthoni acidi e bpm in continuo crescendo, il tutto curato a modi geometria euclidea.

Iffy si prende gioco del less is more, della musica che nasce minimale e muore al Timewarp, e dei dj che pur di stare a spasso con i trend sono disposti ad appendere i piatti al chiodo. Le sue tracce sono reincarnazioni di beat fatti a macchina con un indissolubile anima analogica, che brilla grazie alla stessa maturità che Caribou ha dimostrato in Our Love, riuscendo ad esprimere con semplicità spiazzante brani dalle strutture e complessità rinascimentali.

Duolo raggiunge l’apice della filosofia del disco: manipolare gli stati d’animo fino a raggiungere la tortura, dopo che la coppia Garbo e Buteo avevano contribuito al climax di bpm della prima metà di Iffy, che come ogni album che si rispetti, sa come rallentare e mandarti a quel paese. Lo fa con le armi del selector, con la ballata crepuscolare di Jim Jams che fa urlare al capolavoro.

Per te ho scelto Levo, il singolo creato per essere un classico, che fa di Iffy un disco di cui vale la pena investire soldi per essere ascoltato con tutte le attrezzature tecnologiche disponibili. E comunque, la scelta del video era voluta, e ti dirò di più, sono io l’autore.
Mai come ‘sta volta le slide di merda di Youtube c’hanno ragione.

Tracce consigliate: Baro, Duolo, Levo