Tutto è iniziato il 20 aprile 2015, con un countdown criptico sulla loro pagina Facebook, countdown di dieci giorni fino all’annuncio: l’uscita di Perpetuum, l’ultimo album dei Raein. Tutto come al solito: disco autoprodotto, in free download; insomma poche parole e molti fatti. Sono questi i Raein che amiamo e quelli che ci invidiano anche oltreoceano, capostipiti dello screamo/post-hardcore in Europa, che tornano quasi di soppiatto a quattro anni dall’uscita di quella meraviglia che fu Sulla Linea d’Orizzonte fra Questa Mia Vita e Quella di Tutti. I Raein sono responsabili della rinascita screamo di tutta la Romagna, ormai conosciuta ai fan del genere come la terra dello screamo italiano (ed europeo) e una delle realtà musicalmente più produttive della penisola; è una rinascita screamo, però, che dalla crudezza di Il N’y A Pas de Orchestre (2003) continua gradualmente ad evolversi in un suono più maturo, più strumentale, meno punk e più “post”, senza però rinunciare allo scream.

Perpetuum è l’ultimo tassello di questa filosofia evolutiva, un lavoro che conferma l’eleganza compositiva di un gruppo che lavora con un genere che di suo non nasce elegante, e che ormai ha le capacità e l’esperienza di ribaltarlo a suo piacimento. Diciassette minuti aperti da Salvia e chiusi da Senza Titolo, che sono innovative e tradizionali al tempo stesso: crude – forse più che in Sulla Linea d’Orizzonte – ma raffinate, melanconiche, eppure così distintamente Raein, le cui chitarre sono inconfondibili. Agli antipodi non fisici dell’album troviamo Tutte Parole d’Amore, una “ballad” (tra molte virgolette, stiamo parlando di post-hc) che un po’ richiama Costellazione Secondo le Leggi del Caso, e la più hardcore Giovanni Drogo (Requiem), un riferimento al protagonista de Il Deserto dei Tartari di Dino Buzzati.

Se Sulla Linea d’Orizzonte e Ogni Nuovo Inizio (2008) si presentavano un po’ come concept album, Perpetuum non è da meno – nonostante il concept sia limitato dalla brevità del disco, ma questa è una scelta più che una pecca. Già il titolo serve a raccontare delle due coordinate su cui viaggiano i testi e le ambientazioni dei Raein: spazio e tempo. Lo spazio è quel che rende il disco sospeso tra varie realtà, intrappolato in un ermetismo che nei testi di Perpetuum si fa ancora più oscuro (“Esistere e dissolversi / Forme di moto nel vuoto”), mentre il tempo è quello che più che da un orologio è scandito da abbandoni, fallimenti e ricerche (“Quando tutto è fermo / Un istante ci separerà […] / Dove il tempo finisce nell’eterno presente”). È una rassegnazione matura, quella nella voce di Andrea Console, dalla funzione catartica e di certo meditativa più che autodistruttiva, un’altra tra le caratteristiche inimitabili del loro liricismo.

Sulla Linea d’Orizzonte era una bella pietra miliare da superare per la carriera dei Raein, e sebbene Perpetuum non ne raggiunga la stessa incisività (questo è forse dovuto alla sua brevità, ché di passi falsi in Perpetuum non ce ne sono proprio), non si può dire che non sia un passo avanti. E i Raein ci hanno viziati coi passi avanti, tanto che le aspettative, ad ogni uscita, sono sempre – giustamente – altissime.

Tracce consigliate: Senza Titolo, Tutte Parole d’Amore