Ci hanno insegnato fin da piccoli che non si giudica un libro dalla copertina. La cara, dolce, timida e accogliente Pharmakon fa però di tutto per debellare questa buona maniera. Dapprima si cosparge di vermi nel debut Abandon, ora invece decide di posare carne e interiora (si spera animali) sul suo corpo, come se questo fosse stato aperto durante un’autopsia. Che schifo.
Io non so che problemi abbia la giovane Margaret Chardiet, ma di sicuro tanto bene non sta. E se già lo si era intuito (giusto un po’…) nel live a spalla degli Swans, la cosa diventa lampante in questo sophomore Bestial Burden.

Chi altri se non Pharmakon potrebbe iniziare un disco con un minuto e mezzo di ansimi sessuali, rimbalzati da una cuffia all’altra? E urge notare che il pezzo in questione porti il titolo Vacuum, a sottolineare che quei sospiri privati non sono amore, ma nemmeno sesso senza amore, sono il vuoto più totale. Chi altri potrebbe inserire come “parte vocale” (le virgolette si sprecano) un tizio che sta palesemente – permettetemi la citazione – soffomitando (Primitive Struggle)?
È qui che si pone il perno interpretativo dell’opera. Chi altri – per lo meno nel mondo in cui gravita Pharmakon e negli universi appena prossimi alla Sacred Bones – ? Nessuno.

Pharmakon riparte da Abandon ed evolve il proprio suono, e al momento pare essere la sola capace di picchi estremi di questo tipo, di una feroce ricerca del disagio altrui attraverso l’esternazione del disagio proprio.
La musica non è una fotografia delle cose belle. O meglio, lo è anche. Ma è prima di tutto rappresentazione di una realtà personalissima, così come lo è l’arte in generale – banale, sì, ma non scontato.
Avete presente le distorsioni di Schiele e Kirchner? L’angoscia, l’ansia di Munch? O ancora lo schifo di Dante quando nell’Inferno dice “E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco, / vidi un col capo sì di merda lordo, / che non parëa s’era laico o cherco”?
Allo stesso modo Bestial Burden è rappresentazione della realtà di Margaret e le urla, i rumori, sono il suo mezzo per comunicarlo.
Rappresentazione del disagio di vivere, di essere: tappeti di synth freddi e grida disumane, fragori infernali, risate diaboliche. L’arte di Pharmakon si svela talvolta in ritmi quasi tribali, ossessivi, sui quali è però vietato anche solo muovere un piede; ogni tanto pare fare capolino qualche melodia, e le voci giocano spesso tra una lussuria distorta e un dolore profondo. Non è baccano incontrastato, e disordine cosmico: basta un ascolto più attento per accorgersi che il lavoro di composizione e produzione è anzi quasi oculato (i conati di nausea e le risate che diventano tutt’uno con la musica, per esempio).

Bestial Burden non è un disco che ascolterete spesso. Non biasimo nemmeno chi dice che fa schifo. Il punto è che vuole fare schifo in partenza. Facile direte voi. No, dico io.
Bestial Burden è la visione del mondo attraverso un punto di vista diverso dal solito, estremamente tormentato, più o meno condivisibile e di sicuro difficilmente digeribile, certo, ma che senza dubbio centra lo scopo per il quale è stato concepito: essere brutalmente traumatizzante, pesantemente destabilizzante.
Ps la bonus track è la cover della famosa Bang Bang, precedentemente realizzata per la compilation Sacred Bones Todo Muere vol. 4. Vale la pena ascoltarla, per sentire quella che è la voce naturale di Margaret, e per dare anche maggior senso a questa recensione.

Tracce consigliate: Body Betrays Itself, Autoimmune.