0pn ha un rapporto speciale con le ambientazioni dei suoi lavori. Replica è da studio, R Plus Seven è da salotto, Garden of Delete è da Cernobyl. Non c’è riconoscimento che regga, le medaglie al vapore acqueo che lo hanno consacrato come artista si sono cristallizzate, hanno cambiato forma, fino a diventare degli essere mutanti.

In occasione del tour da spalla a Soundgarden e Nine Inch Nails, Lopatin ha avuto uno scontro frontale con il suo passato: è stata l’occasione ideale per la prima vera performance dell’artista Daniel Lopatin, che si è esibito con la sua splendida arte rumorosa di fronte ad un pubblico di ignari americani mangia hamburger, imbarazzati e turbati anche dai visual di Jon Rofman, regista del video di Sticky Drama.

Del credo artistico di 0pn se n’era parlato qui due anni fa. La digital reinassance è avvenuta e Francesco Facchinetti è lo Steve Jobs italiano. Altrettanto imbarazzante è l’influenza che Lopatin ha esercitato sulle produzioni post 2013, condita da un’inaspettata notorietà e costanti collaborazioni con artisti, apparizioni su riviste non musicali, e un’esibizione al MoMA. Poi c’è il video di Boring Angel, il più tangibile contributo che Lopatin abbia regalato alla musica terrestre, prima di sparire nel suo inconscio e incontrare Erza. Forse l’ultimo. È singolare pensare all’amore non corrisposto di quel video come lo stesso che Lopatin prova per la sua musica, una parodia della concettualità e del disimpegno che sfocia nell’esasperazione della non-struttura di Garden Of Delete.

Ascoltare GoD, infatti, è come fare zapping durante una tempesta magnetica e scoprire un cunicolo spazio temporale in una consolle, l’Intellivision precisamente. Proprio grazie al dispositivo vocale Intellivoice, 0pn invade l’album di voci sintetizzate, rendendole iperreali (Ezra), incanalandole in cortocircuiti digirock (Lift), incollandole in scenari hypergrunge per poi decomporle all’insegna di splatter, heavy metal e droni in blackout (Sticky Drama). Giocando con il passato Lopatin è finito con l’ambientare GoD nella sua scatola dei ricordi. C’è rimasto per molto tempo, recuperando accordi di chitarra e organi precari che illuminano la sua arte rumorosa e inquinata (Freaky Eyes), sprazzi di Underworld accellerati (Mutant Standard) e beat viscerali che danno decisamente l’idea terrificante del mordere attraverso qualcosa (I Bite Trough It).

GoD è un artefatto che ci parla dal presente, un’autobiografia che spazia dal perfezionismo rinascimentale al debugging seriale perché in fondo sono cazzi suoi. Noi continueremo a cogliere i suoi spunti autoreferenziali e commemorare ancora una volta la musica di 0pn, sempre più lontana da esercizi di stile terrestri e da quella antiquata e ormai passata visione del concept album. Ma poi, sprecare un album per un solo concetto? No, non c’è più tempo.

Tracce Consigliate: I Bite Trough It, Mutant Standard, Sticky Drama