Con The Silver Gymnasium, gli Okkervil River si erano tuffati di pancia nell’immaginario collettivo pre Funeral di inizi duemila, di una band(a) concettualmente troppo avanti per suonare da classici figli della tradizione folk rock americana. Quel cambio di formula repentino, giustificato da un nostalgico ritorno alla canzone classica e ai dinamismi degli esordi, fece invecchiare male anche quella creatura indie che è stata The Stage Names.

Con Away, il cambio formazione mostra la delicatezza di quello che a tutti gli effetti è il solo-project di Will Sheff (solo anche di tasche), che si affida al suo cantautorato schietto ma non per questo sensibile, a tratti romantico, e all’esperienza di diversi musicisti della vecchia guardia che mantengono il tono noir targato Okkervil River.

Se da un lato è difficile raggiungere con poche risorse il livello di Gruff RhysJim James, dall’altro una manciata di canzoni chitarra e voce scritte in uno scantinato hanno degli accorgimenti che fanno la differenza. Quando i versi narranti e i virtuosismi canori di Sheff si conciliano con la musica, il risultato è micidiale, come nei passaggi prog di She Would Look For Me e nelle ritmiche jazz di Call Yourself Renee. Ma quando avviene in maniera abbastanza telefonata (The Industry) o non avviene quasi del tutto (R.I.P. Okkervil River) è meglio sorvolare.

Anche se concettualmente non è degno dei suoi predecessori, un nuovo album dagli Okkervil River resta comunque una manna dal cielo, soprattutto se è grezzo e incompiuto come Away. La prossima volta, caro Will, se hai bisogno di registrare e non hai un dollaro, basta chiedere.

Traccia consigliate: Frontman in Heaven